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Una preghiera…

Per tutte le figlie e le anziane donne, la prova vivente che l’anima, nonostante le denigrazioni culturali affermino il contrario, nonostante le delusioni d’amore, nonostante le scelte sbagliate, nonostante gli scontri e le ferite, che l’anima torna ancora a vivere, vive ancora, e con grande vitalità; per tutte le figlie e le anziane donne che da tempo sono convinte, o da poco hanno avuto l’illuminazione che nonostante le pecche, nonostante l’ego blateri il contrario, la saggezza è infusa nel loro corpo e nella loro anima dalla nascita e rappresenta sia la loro eredità dorata sia la loro scintilla d’oro; per tutte le figlie e le anziane donne che stanno costruendo le credenziali che più hanno importanza: la prova che una donna è come un grande albero che, grazie alla sua capacità di muoversi invece di rimanere immobile può sopravvivere alle tempeste e ai pericoli più terribili e rimanere ancora in piedi, e ritrovare ancora il suo modo di ondeggiare al vento, di continuare la danza. Per tutte le figlie che stanno imparando, che hanno appena iniziato o sono già a buon punto, a diventare normalmente maestose, sagge, selvagge e pericolose come sono chiamate ad essere, che è tanto, tanto, tanto…

Per loro

per noi tutti,

Grande Madre, Grande Padre

Grande Figlio e Grande Figlia allo stesso modo

possiamo tutti

essere più profondi e fiorire,

creare dalle ceneri,

proteggere quelle arti, idee e speranze

cui non possiamo permettere di scomparire

dalla faccia di questa terra.

Per tutto questo, possiamo vivere a lungo

e amarci l’un l’altro

giovani da vecchi

e vecchi da giovani

per sempre.

Clarissa Pinkola Estés – La Danza delle grandi Madri
Gramellini_Versiliana

Gramellini e il senso della vita

Il 18 Agosto 2012 presso La Versiliana (Marina di Pietrasanta) nel ciclo di “Incontri al Caffè” è stato ospite Massimo Gramellini e con l’occasione ha presentato al pubblico presente il suo ultimo libro – Fai bei sogni; con la sua consueta apertura, ironia ed empatia ha raccontato di come sia riuscito a dare un senso alla morte della madre avvenuta in tenera età e del suo percorso interiore di accettazione.

Ha condotto Adriano Fabris, filosofo.

Per chi volesse ascoltare gli interventi per intero qui il link ai video, mentre sotto vi riporto alcuni stralci delle sue parole, sempre toccanti, sempre vere, apparentemente ovvie… Fino a quando non tocca a noi in prima persona.

“Da una parte la paura uccide sempre l’amore ma poi il pensiero della mamma mi procurava dei fremiti di rabbia mescolati a una tenerezza che sconfinava nella pena.”

– Ma perchè?  Perchè… e non perchè soltanto muore una mamma  di quarant’anni lasciando un bambino di 9, ma perchè ogni giorno accadono centinaia di altre cose atroci?[…]

– Le risposte in questi casi sono: o che Dio è cattivo o che non c’è nulla e quindi tutto è casuale… […]

– La vita in qualche modo è anche filosofia ; io sono arrivato alla conclusione di questo mio percorso interiore… mi sono fatto le domande che tutti ci facciamo, me le sono fatte un pò prima […] non è normale che un bambino di 9 anni si chieda perchè esiste la morte. Io me lo sono chiesto semplicemente perchè l’ho vissuta. E la conclusione che mi sono dato, a cui sono arrivato, è che invece la vita ha un senso; che tutto ciò che ci succede ha un senso e che evidentemente il senso della mia vita era quello di riuscire a dimostrare di poter evolvere, crescere, in assenza della figura di una madre. Che è una cosa terribile, una grande difficoltà… Ma ognuno, ognuno ha una difficoltà… anche la persona che apparentemente noi invidiamo di più perchè la vediamo in ottima salute, benestante, di ottima famiglia… sicuramente anche lui, noi non lo sappiamo, ma ha un enorme problema  da risolvere. Io credo davvero che noi ci incarniamo  e viviamo su questo piano  e quindi indossiamo, entriamo nella materia, con tutto ciò che questo comporta di bello e anche di brutto. Il corpo naturalmente ci permette di provare dei meravigliosi piaceri ma  ci costringe anche a delle grandi limitazioni. Il nostro spirito accetta di entrare in questa carcassa perchè deve fare qualche cosa. Io dico sempre che se noi finiamo la vita come l’abbiamo cominciata vuol dire che la vita non ci è servita a niente. La vita deve servire a qualche cosa  e cos’è che ci porta a crescere, ad evolvere? Le difficoltà.

– A cosa serve il dolore, a cosa servono  le prove… Secondo me: a sfidarci. A costringerci a tirar fuori una parte di noi che non sapevamo di avere. Le persone che crescono nella bambagia, senza avere difficoltà, senza avere mai una sofferenza di nessun genere, sono persone che non evolvono, perchè non hanno l’opportunità di evolvere.

– Il mio talento è quello di comunicare e lo uso, ognuno però ha un suo talento, secondo me questa è una cosa importante  che i filosofi dovrebbero dire di più… Ricordare che ogni essere umano ha un talento, e ha un sogno, che deve tirare fuori, è ora di spezzare queste gabbie fatte di no, no, non è possibile… non si può… Ogni volta che c’è un desiderio , una possibilità di cambiare la prima reazione è sempre: No! Non voglio cambiare, di ogni cosa io non vedo mai la possibilità… Di ogni cosa che accade, perfino di una cosa cupa come quella che stiamo vivendo adesso, cioè una  crisi di cui non vediamo lo sbocco… ma è evidente che questa  crisi può essere un’ occasione. Crisis… sapete cosa vuol dire? Crisis nel linguaggio delle sceneggiature è la svolta, già in greco voleva dire questo, la crisi è un’opportunità. Può essere l’opportunità per distruggerti come quella per evolvere; sta a te. E’ il libero arbitrio che ti porta a scegliere come affrontare … Quello che io ho provato a dire in questo libro è che non dobbiamo più dare giudizi su ciò che accade, perchè il bene e il male sono compenetrati, ciò che a noi sembra …. Noi decidiamo che una cosa è bene, che una cosa è male… ma l’universo non obbedisce a queste regole, a questi giudizi.

Secondo me quello che dobbiamo fare è prendere tutto il bene e tutto il male che vengono nello stesso identico modo. Come diceva Kipling nella meravigliosa poesia If/Se, “se tu imparerai a trattare la vittoria e la sconfitta, questi due impostori, nello stesso modo.”

(In chiusura per chi non la conoscesse la riporto per intero)

SE…
Se riesci a conservare il controllo quando tutti
Intorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;
Se riesci ad aver fiducia in te quando tutti
Ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio;
Se riesci ad aspettare e non stancarti di aspettare,
O se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne,
O se ti odiano, a non lasciarti prendere dall’odio,
E tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio;

Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
Se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
Se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
E trattare allo stesso modo quei due impostori;
Se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto
Distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi
O a contemplare le cose cui hai dedicato la vita, infrante,
E piegarti a ricostruirle con strumenti logori;

Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite
E rischiarle in un colpo solo a testa e croce,
E perdere e ricominciare di nuovo dal principio
E non dire una parola sulla perdita;
Se riesci a costringere cuore, tendini e nervi
A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tener duro quando in te non resta altro
Tranne la Volontà che dice loro: “Tieni duro!”.

Se riesci a parlare con la folla e a conservare la tua virtù,
E a camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente,
Se non riesce a ferirti il nemico né l’amico più caro,
Se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
Se riesci a occupare il minuto inesorabile
Dando valore a ogni minuto che passa,
Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,
E – quel che è di più – sei un Uomo, figlio mio!

(Rudyard Kipling)

 

Favola dei ciechi – Hermann Hesse

Nei primi anni del ricovero per ciechi, questi godevano espressamente tutti gli stessi diritti, e le loro faccende venivano decise a maggioranza. I ciechi riuscivano a distinguere infallibilmente, al semplice tatto, monete di rame da monete d’argento, nessuno di loro s’ingannava mai circa il vino della Mosella anzichè della Borgogna. Il loro olfatto era più sensibile di quello dei prossimi loro che avevano gli occhi buoni. Ragionavano in maniera impeccabile sui quattro sensi, in altre parole sapevano tutto ciò che si può sapere, e vivevano felici e contenti nei limiti in cui è concesso ai ciechi.
A un certo punto, però, uno dei maggiorenti se ne venne fuori con l’infelice pretesa di conoscere esattamente come stessero le cose con il senso della vista. Costui tenne discorsi, aizzò, si acquistò seguaci, e alla fine si salutò in lui il capo, la guida verso il futuro dei ciechi. Con tono molto sicuro di sè, il capo tranciò giudizi sul mondo dei colori, ma da quel momento tutto andò storto.
Questo primo dittatore dei ciechi costituì innanzitutto un piccolo consiglio, con l’ausilio del quale divenne il signore di tutte le questue. Nessuno più osava contrapporglisi. Sosteneva che gli abiti dei ciechi erano tutti quanti bianchi, e i ciechi ci credevano e facevano un gran parlare dei loro bei panni candidi, sebbene nessuno di loro ne indossasse. Ormai non c’era chi non si facesse beffe dei ciechi, i quali andarono dal dittatore a lamentarsene. Il dittatore li accolse assai malamente, li trattò da innovatori e da spiriti liberi, da ribelli che si erano lasciati convertire dai folli punti di vista dei vedenti. Erano ribelli i quali, incredibile a dirsi, osavano dubitare dell’infallibilità del loro capo supremo.

Lo strascico della faccenda fu che si formarono due partiti.
Per tranquillizzare i suoi sudditi, l’autocrate formulò un nuovo dogma, e cioè che gli abiti dei ciechi erano rossi. Neppure questo rispondeva al vero, nessun cieco indossava panni rossi, e i ciechi furono derisi più che mai e nell’ambito della consorteria si levarono sempre nuove lamentele. Il capo finì per andare su tutte le furie, gli altri anche, a lungo ci si azzuffò, e la pace fu ristabilita soltanto quando i ciechi presero la decisione di mai più tranciare giudizi sui colori.
Un sordo lesse questa storiella e affermò che i ciechi avevano avuto torto nell’arrogarsi una capacità di giudizio sui colori. In compenso, rimase fermamente della sua convinzione, che soltanto i ciechi capiscono qualcosa di musica.

– Da Leggende e fiabe. Hermann Hesse

 


Fai bei sogni

Fai bei sogni è la storia di un segreto celato in una busta per quarant’anni. La storia di un bambino, e poi di un adulto, che imparerà ad affrontare il dolore più grande, la perdita della mamma, e il mostro più insidioso: il timore di vivere. “Fai bei sogni” è dedicato a quelli che nella vita hanno perso qualcosa. Un amore, un lavoro, un tesoro. E rifiutandosi di accettare la realtà, finiscono per smarrire se stessi. Come il protagonista di questo romanzo. Uno che cammina sulle punte dei piedi e a testa bassa perché il cielo lo spaventa, e anche la terra. “Fai bei sogni” è soprattutto un libro sulla verità e sulla paura di conoscerla. Immergendosi nella sofferenza e superandola, ci ricorda come sia sempre possibile buttarsi alle spalle la sfiducia per andare al di là dei nostri limiti. Massimo Gramellini ha raccolto gli slanci e le ferite di una vita priva del suo appiglio più solido. Una lotta incessante contro la solitudine, l’inadeguatezza e il senso di abbandono, raccontata con passione e delicata ironia. Il sofferto traguardo sarà la conquista dell’amore e di un’esistenza piena e autentica, che consentirà finalmente al protagonista di tenere i piedi per terra senza smettere di alzare gli occhi al cielo. (tratto dalla copertina)

La resilienza, il Belfagor della rimozione, la verità ed il momento per dirla, il potere catartico e curativo della scrittura, la compassione ed il perdono: tutto in un solo libro, tra una lacrima ed un sorriso. Nulla vale per comprendere l’Uomo come l’ascolto di una vita vissuta, profondamente ed umanamente espressa, mentre si pone quelle domande esistenziali che ci accomunano tutti e da cui spesso, troppo spesso, fuggiamo. L’ho letto quando era uscito dalle stampe da appena un giorno, come quei doni che s’attendono non sai quando e non sai come, ma che prima o poi vedono la luce. Altro non sono che quella voce che risuona in ognuno di noi, come un canto di cui conosciamo la melodia ma non le parole, ma che sappiamo esistere. Da qualche parte, per bocca di qualcuno, che ha il talento e la forza per condividerle.

Qui la videointervista andata in onda a “Che tempo che fa” il 4 marzo.

Prontuario per il brindisi di capodanno

Bevo a chi è di turno, in treno, in ospedale,
cucina, albergo, radio, fonderia,
in mare, su un aereo, in autostrada,
a chi scavalca questa notte senza un saluto,
bevo alla luna prossima, alla ragazza incinta,
a chi fa una promessa, a chi l’ha mantenuta,
a chi ha pagato il conto, a chi lo sta pagando,
a chi non è invitato in nessun posto,
allo straniero che impara l’italiano,
a chi studia la musica, a chi sa ballare il tango,
a chi si è alzato per cedere il posto,
a chi non si può alzare, a chi arrossisce,
a chi legge Dickens, a chi piange al cinema,
a chi protegge i boschi, a chi spegne un incendio,
a chi ha perduto tutto e ricomincia,
all’astemio che fa uno sforzo di condivisione,
a chi è nessuno per la persona amata,
a chi subisce scherzi e per reazione un giorno sarà eroe,
a chi scorda l’offesa, a chi sorride in fotografia,
a chi va a piedi, a chi sa andare scalzo,
a chi restituisce da quello che ha avuto,
a chi non capisce le barzellette,
all’ultimo insulto che sia l’ultimo,
ai pareggi, alle ics della schedina,
a chi fa un passo avanti e così disfa la riga,
a chi vuol farlo e poi non ce la fa,
infine bevo a chi ha diritto a un brindisi stasera
e tra questi non ha trovato il suo.

(Erri De Luca, L’ospite incallito, Einaudi, Torino, 2008, pp. 13-14).

Legge Fabio Volo:




lezione di leadership

A lezione di leadership

Se cerchiamo la keyword “leadership” su google otteniamo circa 252.000.000 risultati, il che ci fa presumibilmente pensare che su questo tema sia già stato scritto di tutto e di più. Inutile pertanto raccontare ancora una volta di cosa si tratti (WikipediA come sempre ne offre un breve  sunto), possiamo invece approfondire come si manifesta e quali valori sottende, osservandola con un differente approccio e da un’inusuale prospettiva, come una sorta di lezione di leadership.
La leadership non è un punto d’arrivo, ma un processo, un cambiamento continuo: ce lo illustra bene Chris Lowney nel suo libro “Leader per vocazione, i principi della leadership secondo i Gesuiti”, publicato nel 2005 dalla casa editrice del Sole24ore. Infatti, l’autore, ex-gesuita e poi direttore generale per quasi vent’anni della J.P. Morgan, analizza come abbia fatto la più grande congregazione del mondo ad avere un successo che continua imperterrito la sua marcia da quasi 500 anni. Ne esamina pertanto i pilastri ed i principi senza tempo che qui brevemente riassumo, estrapolandoli dal testo. Per approfondire acquistate il libro, ne incoraggio caldamente la lettura, interessante anche dal punto di vista storico-culturale. Per dirla i brave si tratta di una vera e propria lezione di leadership.

Consapevolezza di sè:

“ Mettere ordine nella propria vita”

Un leader si evolve sapendo perfettamente chi è e a quali valori si attiene, raggiungendo la piena consapevolezza di quelli che possono essere i punti ciechi e pericolosi o le debolezze che potrebbero sviarlo dal suo cammino e coltivando l’abitudine di riflettere su di sé e di approfondire le proprie conoscenze. Pag. 28

Spirito di iniziativa:

“Il mondo intero sarà la nostra casa”
Un leader si sente e fa sentire gli altri a proprio agio anche in un mondo in evoluzione. Egli esplora avidamente nuove idee, nuovi approcci e nuove culture anziché rinserrarsi in un atteggiamento di difesa da tutto ciò che può essere appostato dietro ogni angolo della vita. Saldamente ancorato a valori e principi “non trattabili”, egli coltiva quell’ “indifferenza” che gli permette di adattarsi a ogni fenomeno senza perdere la propria sicurezza. Pag. 30

Amore:

“Piuttosto amore che timore”
Un leader affronta il mondo con una sana e sicura percezione di se stesso, sentendosi dotato del talento, della dignità e delle potenzialità necessarie per essere una guida. Questi stessi attributi egli li riscontra negli altri e si impegna con passione a onorare e dischiudere il potenziale che vede in sé e nelle altre persone. Egli crea attorno a sé un ambiente definito e arricchito da sempre nuova energia, affetto e reciproco sostegno. Pag. 32

Eroismo:

“Spronare grandi desideri”
Un leader ha un’immagine ispirata del futuro e lotta per darle forma concreta, anziché restarsene a guardare passivamente ciò che accadrà intorno a lui. Gli eroi sanno ricavare oro da ogni opportunità in cui si imbattono, anziché aspettare che sia qualcun’altro a offrire loro delle dorate opportunità. Pag. 34

Essere leader significa essere padroni di se stessi e delle proprie scelte, essere proattivi ed assertivi, lottare pacificamente per ciò in cui si crede, predisporsi al cambiamento ed accogliere il diverso integrandolo in una nuova dinamica visione. D’altra parte significa anche guardare all’altro con amore, stimolando in lui i lati positivi ed aiutandolo per converso a debellare le debolezze proiettando lo sguardo e gli obiettivi al domani. Conseguentemente si tratta di un modo di essere che non compie soltanto il manager d’impresa, ma il genitore, l’insegnante, il compagno di una vita, l’amico. E perchè no, lo sconosciuto che incontriamo alla fermata del tram.
Lo può fare ognuno di noi, tutti i giorni.
Per cambiare, andando a lezione di leadership.

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