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Adolescenti e balbuzie

L’adolescenza e’ una delicata fase di transizione dal mondo – infantile al mondo – adulto, caratterizzata da epocali e repentini cambiamenti fisici, biologici e cognitivi. Queste importanti trasformazioni sono inevitabilmente la causa di sconvolgimenti emotivi che la rendono un’eta’ affascinante e difficile al tempo stesso. Ma cosa accade e come vive questo periodo dello sviluppo un adolescente balbuziente?

Il mondo della ricerca ha spesso lasciato sullo sfondo il periodo adolescenziale, dando maggior enfasi alla balbuzie infantile. Ne consegue che la società intera resta inconsapevolmente all’oscuro sia delle conseguenze che la balbuzie comporta, sia di quali e quanti aspetti relazionali ne restino coinvolti. E’ assodato invece che l’esperienza di non poter comunicare fluentemente aggiunga ulteriore stress ad un periodo dell’esistenza già problematico.
Dalle poche ricerche pubblicate emerge come solitamente la balbuzie, per l’adolescente che ne è affetto, non rappresenti un problema di per sé, ma che venga vissuta in maniera rilevante in base alla reazione del gruppo dei pari. E’ noto, infatti, come il vissuto amicale e l’omologazione ad un gruppo rappresentino le caratteristiche fondanti del periodo adolescenziale. I genitori restano ai margini, basilari nella loro presenza per le decisioni importanti (scelta della futura professione, salute etc.) ma vissuti come figure da cui pian piano è normale emanciparsi affettivamente, sovente con atteggiamenti di ribellione all’autorità.
Un dato particolare che accomuna tutti gli studi è la non ricerca di un trattamento durante questa fase, sebbene le esperienze di vita inizino a ripercuotersi nella percezione di sé, causando timore nella comunicazione e difficoltà nel prendere la parola in pubblico.
Uno studio di recentissima pubblicazione, condotto con la tecnica del focus group, indaga sulle motivazioni che spingono gli adolescenti ad essere spesso reticenti al trattamento della balbuzie *, per poi ricercarlo durante la carriera universitaria o al più tardi alle soglie dell’entrata nel mondo del lavoro.
Dall’indagine è emersa in primo luogo la preferenza ad effettuare eventuali percorsi per controllare la balbuzie con altri partecipanti, piuttosto che individualmente.
Altre conclusioni a cui sono giunti i ricercatori evidenziano una generale scarsa conoscenza del disturbo sia da parte degli adolescenti che di genitori ed insegnanti.
L’ opinione comune è che passerà da sola, alcuni riportano addirittura una sorta di negazione del disturbo (“se non se ne parla non esiste”) o la convinzione che dipenda da “un problema nervoso”. Spesso gli insegnanti fingono di non notarlo, avvalorando ulteriormente la congiura del silenzio. Non può sorprendere che se genitori ed insegnanti non sono a conoscenza di come in effetti stanno le cose, ne siano all’oscuro i ragazzi … Ed è innegabile come questa inconsapevolezza del problema influisca su tutti gli attori coinvolti. Se gli amici sapessero, sarebbero certamente meno crudeli negli scherzi e nelle prese in giro; gli insegnanti sarebbero più comprensivi di fronte alle difficoltà comunicative e meno inclini a valutarli come studenti poco impegnati, ed i ragazzi che balbettano acconsentirebbero più facilmente ad accedere ad un trattamento.
Durante l’adolescenza è tipico un calo nella capacità di trovare motivazioni ed impegno dentro di sé, lasciandoli soli ed ignari si ottiene soltanto che raggiungano l’età adulta alla ricerca di un trattamento riabilitativo, dopo aver avuto una serie di spiacevoli esperienze che è invece possibile risparmiare loro.
Le implicazioni di queste osservazioni fanno emergere ancora una volta come sia importante implementare una vera e propria campagna di sensibilizzazione e conoscenza del disturbo, rivolgendosi in primis a insegnanti e genitori, figure da cui i nostri adolescenti devono sicuramente emanciparsi ma di cui hanno ancora immensamente bisogno.

* Stuttering and its treatment in adolescence: the perception of people who stutter. A. Hearne, A. Packman, M. Onslow, S. Quine – Journal of fluency Disorders 33 (2008) 81-98

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