Questo ti voglio dire ci dovevamo fermare. Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti ch’era troppo furioso il nostro fare. Stare dentro le cose. Tutti fuori di noi. Agitare ogni ora – farla fruttare.
Ci dovevamo fermare e non ci riuscivamo. Andava fatto insieme. Rallentare la corsa. Ma non ci riuscivamo. Non c’era sforzo umano che ci potesse bloccare.
E poiché questo era desiderio tacito comune come un inconscio volere – forse la specie nostra ha ubbidito slacciato le catene che tengono blindato il nostro seme. Aperto le fessure più segrete e fatto entrare. Forse per questo dopo c’è stato un salto di specie – dal pipistrello a noi. Qualcosa in noi ha voluto spalancare. Forse, non so.
Adesso siamo a casa.
È portentoso quello che succede. E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni. Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo. C’è un molto forte richiamo della specie ora e come specie adesso deve pensarsi ognuno. Un comune destino ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene. O tutti quanti o nessuno.
È potente la terra. Viva per davvero. Io la sento pensante d’un pensiero che noi non conosciamo. E quello che succede? Consideriamo se non sia lei che muove. Se la legge che tiene ben guidato l’universo intero, se quanto accade mi chiedo non sia piena espressione di quella legge che governa anche noi – proprio come ogni stella – ogni particella di cosmo.
Se la materia oscura fosse questo tenersi insieme di tutto in un ardore di vita, con la spazzina morte che viene a equilibrare ogni specie. Tenerla dentro la misura sua, al posto suo, guidata. Non siamo noi che abbiamo fatto il cielo.
Una voce imponente, senza parola ci dice ora di stare a casa, come bambini che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa, e non avranno baci, non saranno abbracciati. Ognuno dentro una frenata che ci riporta indietro, forse nelle lentezze delle antiche antenate, delle madri.
Guardare di più il cielo, tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta il pane. Guardare bene una faccia. Cantare piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta stringere con la mano un’altra mano sentire forte l’intesa. Che siamo insieme. Un organismo solo. Tutta la specie la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.
A quella stretta di un palmo col palmo di qualcuno a quel semplice atto che ci è interdetto ora – noi torneremo con una comprensione dilatata. Saremo qui, più attenti credo. Più delicata la nostra mano starà dentro il fare della vita. Adesso lo sappiamo quanto è triste stare lontani un metro.
Mariangela Gualtieri
N.B. L’immagine è dell’artista Alessio-B che ha partecipato all’asta benefica in favore della terapia intensiva di Padova
Guarda settembre: nulla si è perduto fidandoci delle foglie. La gioventù venne e se ne andò, gli alberi non si son mossi. La morte del fratello ti bruciò in lacrime però il sole c’è ancora. La casa è stata demolita, non il suo ricordo. Guarda settembre con la sua pala in spalla come trascina foglie secche. La vita vale più della vita, solo questo conta.
Eugenio Montejo (Caracas, 1938 – Valencia, 5 giugno 2008)
Non devi essere buono. Non devi trascinarti ginocchioni, pentito, per cento miglia attraverso il deserto. Devi soltanto permettere a quel mite animale, al tuo corpo, di amare ciò che ama. Parlami della tua disperazione, io ti racconterò la mia. Intanto, il mondo va avanti. Intanto, il sole e i chiari cristalli di pioggia attraversano i paesaggi, passano sopra le praterie e gli alberi dalle profonde radici, sopra le montagne e i fiumi. Intanto, le oche selvatiche, alte nel limpido cielo azzurro, son di nuovo sulla rotta verso casa. Chiunque tu sia, non importa quanto solo, il mondo si offre alla tua immaginazione, ti manda il suo richiamo come le oche selvatiche, aspro ed eccitante: annuncia incessantemente la tua appartenenza alla famiglia delle cose.
A parte l’inizio della primavera (che quest’anno è in realtà iniziata il 20, precisamente alle 17.57 italiane), il 21 marzo è anche la giornata mondiale della poesia.
E a te, che poesia sovviene alla mente?
Ognuno di noi ne ha più d’una, in base ai momenti della vita…
Se ti va, condividila qui sotto nei commenti, sarei felice di leggerla 🙂
Teresa Wiseman ha individuato le quattro qualità dell’empatia: assunzione di prospettiva, la capacità di mettersi nei panni di un’altra persona, nessun giudizio e… Comunicarlo! Ma quante volte riusciamo a farlo? Quante volte invece cadiamo nell’indulgenza, in frasi apparentemente consolatorie che in realtà comunicano distanza oppure una valutazione, mascherata da consiglio? Empatia invece è entrare in connessione con l’Altro e spesso non sono nemmeno necessarie le parole. Basta un abbraccio.
Non molto tempo fa, in compagnia di un amico silenzioso e di un poeta già famoso nonostante la sua giovane età, feci una passeggiata in una contrada estiva in piena fioritura. Il poeta ammirava la bellezza della natura intorno a noi ma non ne traeva gioia. Lo turbava il pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire, che col sopraggiungere dell’inverno sarebbe scomparsa: come del resto ogni bellezza umana, come tutto ciò che di bello e nobile gli uomini hanno creato e potranno creare. Tutto ciò che egli avrebbe altrimenti amato e ammirato gli sembrava svilito dalla caducità cui era destinato. Da un simile precipitare nella transitorietà di tutto ciò che è bello e perfetto sappiamo che possono derivare due diversi moti dell’animo. L’uno porta al doloroso tedio universale del giovane poeta, l’altro alla rivolta contro il presunto dato di fatto.
No! è impossibile che tutte queste meraviglie della natura e dell’arte, che le delizie della nostra sensibilità e del mondo esterno debbano veramente finire nel nulla. Crederlo sarebbe troppo insensato e troppo nefando. In un modo o nell’altro devono riuscire a perdurare, sottraendosi ad ogni forza distruttiva. Ma questa esigenza di eternità è troppo chiaramente un risultato del nostro desiderio per poter pretendere a un valore di realtà: ciò che è doloroso può pur essere vero. Io non sapevo decidermi a contestare la caducità del tutto e nemmeno a strappare un’eccezione per ciò che è bello e perfetto. Contestai però al poeta pessimista che la caducità del bello implichi un suo svilimento. Al contrario, ne aumenta il valore! Il valore della caducità è un valore di rarità nel tempo. La limitazione della possibilità di godimento aumenta il suo pregio. Era incomprensibile, dissi, che il pensiero della caducità del bello dovesse turbare la nostra gioia al riguardo. Quanto alla bellezza della natura, essa ritorna, dopo la distruzione dell’inverno, nell’anno nuovo, e questo ritorno, in rapporto alla durata della nostra vita, lo si può dire un ritorno eterno. Nel corso della nostra esistenza, vediamo svanire per sempre la bellezza del corpo e del volto umano, ma questa breve durata aggiunge a tali attrattive un nuovo incanto. Se un fiore fiorisce una sola notte, non perciò la sua fioritura ci appare meno splendida. E così pure non riuscivo a vedere come la bellezza e la perfezione dell’opera d’arte o della creazione intellettuale dovessero essere svilite dalla loro limitazione temporale. Potrà venire un tempo in cui i quadri e le statue che oggi ammiriamo saranno caduti in pezzi, o una razza umana dopo di noi che non comprenderà più le opere dei nostri poeti e dei nostri pensatori, o addirittura un’epoca geologica in cui ogni forma di vita sulla terra sarà scomparsa: il valore di tutta questa bellezza e perfezione è determinato soltanto dal suo significato per la nostra sensibilità viva, non ha bisogno di sopravviverle e per questo è indipendente dalla durata temporale assoluta. Mi pareva che queste considerazioni fossero incontestabili, ma mi accorsi che non avevo fatto alcuna impressione né sul poeta né sull’amico. Questo insuccesso mi portò a ritenere che un forte fattore affettivo intervenisse a turbare il loro giudizio; e più tardi credetti di avere individuato questo fattore. Doveva essere stata la ribellione psichica contro il lutto a svilire ai loro occhi il godimento del bello. L’idea che tutta quella bellezza fosse effimera faceva presentire a queste due anime sensibili il lutto per la sua fine; e, poiché l’animo umano rifugge istintivamente da tutto ciò che è doloroso, essi avvertivano nel loro godimento del bello l’interferenza perturbatrice del pensiero della caducità.
Il lutto per la perdita di qualcosa che abbiamo amato e ammirato sembra talmente naturale che il profano non esita a dichiararlo ovvio. Per lo psicologo invece il lutto è un grande enigma, uno di quei fenomeni che non si possono spiegare mai ai quali si riconducono altre cose oscure. Noi reputiamo di possedere una certa quantità di capacità d’amare – che chiamiamo libido – la quale agli inizi dello sviluppo è rivolta al nostro stesso Io. In seguito, ma in realtà molto presto, la libido si distoglie dall’Io per dirigersi sugli oggetti, che noi in tal modo accogliamo per coì dire nel nostro Io. Se gli oggetti sono distrutti o vanno perduti per noi, la nostra capacità di amare (la libido) torna ad essere libera. Può prendersi altri oggetti come sostituti o tornare provvisoriamente all’Io. Ma perché questo distacco della libido dai suoi oggetti debba essere un processo così doloroso resta per noi un mistero sul quale per il momento non siamo in grado di formulare alcuna ipotesi. Noi vediamo unicamente che la libido si aggrappa ai suoi oggetti e non vuole rinunciare a quelli perduti, neppure quando il loro sostituto è già pronto. Questo dunque è il lutto.
La mia conversazione col poeta era avvenuta nell’estate prima della guerra. Un anno dopo la guerra scoppiò e depredò il mondo delle sue bellezze. E non distrusse soltanto la bellezza dei luoghi in cui passò e le opere d’arte che incontrò sul suo cammino; infranse anche il nostro orgoglio per le conquiste della nostra civiltà, il nostro rispetto per moltissimi pensatori ed artisti, le nostre speranze in un definitivo superamento delle differenze tra popoli e razze. Insozzò la sublime imparzialità della nostra scienza, mise brutalmente a nudo la nostra vita pulsionale, scatenò gli spiriti malvagi che albergano in noi e che credevamo di aver debellato per sempre grazie all’educazione che i nostri spiriti più eletti ci hanno impartito nel corso dei secoli. Rifece piccola la nostra patria e di nuovo lontano e remoto il resto della terra. Ci depredò di tante cose che avevamo amate e ci mostrò quanto siano effimere molte altre cose che consideravamo durevoli. Non c’è da stupire se la nostra libido, così impoverita di oggetti, ha investito con intensità tanto maggiore ciò che ci è rimasto; se l’amor di patria, la tenera sollecitudine per il nostro prossimo e la fierezza per ciò che ci accomuna sono diventati d’improvviso più forti. Ma questi altri beni, ora perduti, hanno perso davvero per noi il loro valore, perché si sono dimostrati così precari e incapaci di resistere?
A molti di noi sembra così, ma anche qui, ritengo, a torto. Io credo che coloro che la pensano così e sembrano preparati a una rinuncia definitiva perché ciò che è prezioso si è dimostrato perituro, si trovano soltanto in uno stato di lutto per ciò che hanno perduto. Noi sappiamo che il lutto, per doloroso che sia, si estingue spontaneamente. Se ha rinunciato a tutto ciò che è perduto, ciò significa che esso stesso si è consunto e allora la nostra libido è di nuovo libera (nella misura in cui siamo ancora giovani e vitali) di rimpiazzare gli oggetti perduti con nuovi oggetti, se possibile altrettanto o più preziosi ancora. C’è da sperare che le cose non vadano diversamente per le perdite provocate da questa guerra. Una volta superato il lutto si scoprirà che la nostra alta considerazione dei beni della civiltà non ha sofferto per l’esperienza della loro precarietà. Torneremo a ricostruire tutto ciò che la guerra ha distrutto, forse su un fondamento più solido e duraturo di prima.
E’ un concetto di Jung, molto bello: la voce degli Dei è l’intuizione. Noi pensiamo che la vita sia fatta soltanto di cervello e di processi razionali, causa ed effetto: purtroppo il cervello è molto limitato, non arriva a tutto. Quello che arriva al fondo delle cose è l’intuizione: l’intuizione è quel muscoletto interiore che tutti abbiamo e che ci dice sempre la verità. Il problema è che non lo ascoltiamo quasi mai. Perchè? Perchè per ascoltarlo bisogna fare silenzio, bisogna mettersi in una stanza buia, chiudere gli occhi ed ascoltare il battito del proprio cuore. Allora improvvisamente sentirai quella voce, che non ti tradisce mai; ti dirà sempre quale è la scelta giusta da fare in amore, nel lavoro, in qualunque cosa della vita. Noi però abbiamo talmente paura di sentire quella voce che la stordiamo in tutti i modi… […] Abbiamo distrutto il silenzio, perchè ne abbiamo terrore. Invece il silenzio è una cosa fondamentale… Lo dice un chiaccherone come me. Perchè quando taci e quando fai silenzio dentro di te senti quella voce lì. Ed è la voce che ti dovrebbe guidare nella vita. E’ quello che io auguro a tutti.