Se in questo stesso momento l’aria della stanza dove ora vi trovate venisse risucchiata fuori, che cosa vi succederebbe? Non pensereste ad altro che a procurarvi aria. La vostra unica motivazione sarebbe la sopravvivenza. Ma adesso che avete l’aria, essa non vi motiva. Ecco una delle più grandi intuizioni nel campo della motivazione umana: i bisogni soddisfatti non motivano. Sono solo i bisogni insoddisfatti a motivare.
Dopo la sopravvivenza fisica, il più grande bisogno di un essere umano è la sopravvivenza psicologica: essere compreso, accettato, stimato, apprezzato.
Quando ascoltate con empatia un’altra persona le date aria psicologica.
Se fossi un eremita che vive solitario sulle vette del Kilimangiaro, non dovrei avere bisogno di interagire con le altre persone. Ma visto che il mio paese, per quanto piccolo, conta comunque i suoi diecimila abitanti, per forza di cose parlo ogni giorno con qualcuno. Famiglia, amici o estranei, le relazioni sociali sono alla base della comunità nella quale viviamo.
E per questo è importante imparare come creare empatia, come relazionarsi meglio con gli altri.
Ci sono tanti modi per farlo, dalle parole alla famigerata comunicazione non verbale. Un insieme di tecniche che si propongono di creare un rapporto emotivo fra due persone, in maniera naturale o artificiale. Tuttavia, c’è una parola magica che funziona in tutte le situazioni e che ti permettere di creare empatia con il tuo interlocutore.
Non devo stare qui ad illustrarti i vantaggi che si hanno quando si crea un legame emotivo con una persona. Non deve essere per forza amicizia o addirittura amore, basta quel filo di empatia necessaria per farti risaltare rispetto a tutti gli altri. Quanto basta per essere considerato una persona con le sue caratteristiche peculiari, e non uno fra i tanti.
Fondamentale nel commercio, ma anche nella vita personale. Migliorando le tue relazioni con gli altri potrai vivere una vita migliore, più piena perchè con più emozioni.
In più, e questo mi preme sottolinearlo, la tecnica di oggi non si tratta di qualcosa di artificioso, di innaturale. Ci sono molte tecniche che puntano a creare una specie di empatia fasulla, basata sul nulla. Ad esempio, è risaputo che imitare la postura dell’interlocutore aumenta la sua empatia nei tuoi confronti. Tuttavia si tratta di un escamotage, perchè si fonda sull’imitazione non spontanea dei movimenti. Se vuoi mantenere empatia in questo modo, devi continuare ad usare quella tecnica.
La parola magica per creare empatia
Quindi, qual’ è questa fantastica parola che ha tutte queste proprietà benefiche e nessuna controindicazione? Okay, lo ammetto, ti ho mentito: non si tratta di una parola sola. Però la possiamo riassumere molto semplicemente.
Il nome.
Tutto qui. Per qualsiasi persona, il proprio nome è la parola più dolce e familiare che possa sentire. Pensaci: nell’infanzia senti il tuo nome migliaia di volte, pronunciato dai genitori e dalle persone che ti stanno più a cuore. Nei primi anni di vita impari quindi ad associare al nome una situazione di benessere, di sicurezza.
Passata l’infanzia, le persone iniziano ad usare il tuo nome per chiamarti, per attirare la tua attenzione. Hai presente quando sei con la testa fra le nuvole, e non ascolti minimamente le parole di chi ti sta intorno? Quando qualcuno pronuncia il tuo nome, subito caschi dalle nuvole. Questo avviene perchè l’inconscio ascolta sempre tutto, ma quando sei sovrappensiero le informazioni non passano alla mente conscia. Ma il nome è associato ad una situazione che richiede la tua attenzione, e quindi ha la priorità su tutto il resto.
Cosa significa questo? Significa che quando pronunci il nome di qualcuno, il suo inconscio automaticamente si concentra su di te.
Per dirla con il linguaggio della programmazione neurolinguistica, si crea un’ancora fra il tuo nome e questa sensazione: senti il tuo nome, e subito vengono richiamante certe emozioni. Per la precisione, sono due le emozioni collegate al nome:
Sicurezza, benessere
Attenzione
Non sei ancora convinto che il semplice nome crei empatia? Allora prova a pensare a una situazione nella quale il tuo nome è stato pronunciato per rivolgersi a qualcun altro. Può essere una conversazione fra amici, ma può essere anche un libro o un film. Riesci a ricordarti una situazione del genere? Che sensazione hai provato?
Scommetto che ti ha fatto uno strano effetto, prima di tutto. Normale, l’inconscio ha già abbinato il tuo nome con la tua identità e fa a fatica a concepire che altre persone possano chiamarsi come te. Se pensi ad una storia dove il protagonista ha il tuo nome, sono sicuro che avrai provato una strana immedesimazione per lui o lei. Quasi come se quel personaggio fossi tu: questa non è forse empatia?
Conclusione
Se vuoi creare una relazione emotiva con un altra persona, utilizza spesso il suo nome. Quando saluti qualcuno non dire semplicemente “ciao”, ma dì “ciao Agamennone”. E utilizza il nome ogni volta che vuoi dare una certa rilevanza ad una tua frase, quando vuoi che sia recepita pienamente dall’interlocutore.
Come vedi, questa non è una tecnica per creare un falso legame. L’empatia sarà autentica, perchè non stai fingendo niente: l’unica cosa che fai è dire il nome di qualcuno. Questo ti permetterà di avere delle relazioni più soddisfacenti sotto tutti i punti di vista, e in generale un’ottima vita sociale.
Prova ad usare questa parola magica se pensi di non essere bravo a comunicare con gli altri, e vedrai che le cose miglioreranno molto.
Vantaggio bonus: se ripeti più volte il nome di una persona che hai appena conosciuto, riuscirai a ricordare meglio il suo nome! 🙂
ISA (International Stuttering Association) e AAT (Asociation Argentina de Tartamudez) organizzano in Argentina il 9° Congresso Internazionale per Balbuzienti contestualmente al 2° Congresso LatinoAmericano. Si terrà nell’Aula Magna della Facoltà di Medicina a Buonos Aires nei giorni 18, 19, 20 e 21 Maggio 2011. Un’occasione unica che vedrà insieme le persone che balbettano, i loro familiari e ricercatori provenienti da ogni parte del mondo.
Differenti linguaggi, culture e idee unite per accettare, integrare e comprendere.
Daniel Goleman ci parla di Intelligenza emotiva sin dagli anni ’90, ovvero di un modo alternativo di essere intelligenti, utile alla vita pratica, dove il quoziente intellettivo in senso stretto e gli studi effettuati contano relativamente, perchè il successo nella vita dipende da altro.
Ad oggi le aziende più innovative non ricercano soltanto il curriculum perfetto, con chiarezza espositiva, corsi universitari ed esperienze professionali presentate con efficienza. Il candidato durante il colloquio è spesso chiamato a dimostrare doti di flessibilità, adattabilità, creatività, capacità di gestione delle relazioni e abilità sociali per cooperare e lavorare in team.
Ambiti come la vendita o la dirigenza richiedono doti empatiche non meno di professioni orientate all’aiuto e all’insegnamento e la “sordità emotiva” rischia di far pagare caro il suo scotto, non soltanto nella vita privata e amicale. Quali sono, secondo Goleman, le competenze emotive e sociali che ognuno di noi è pertanto chiamato a far proprie?
Consapevolezza di sé: conoscere in ogni particolare momento i propri sentimenti e le proprie preferenze e usare questa conoscenza per guidare i processi decisionali; avere una valutazione realistica delle proprie abilità e una ben fondata fiducia in se stessi.
Dominio di sé: gestire le proprie emozioni così che esse – invece di interferire con il compito in corso – lo facilitino; essere coscienziosi e capaci di posporre le gratificazioni per perseguire i propri obiettivi; sapersi riprendere bene dalla sofferenza emotiva.
Motivazione: usare le proprie preferenze più intime per spronare e guidare se stessi al raggiungimento dei propri obiettivi, come pure per aiutarsi a prendere l’iniziativa; essere altamente efficienti e perseverare nonostante insuccessi e frustrazioni.
Empatia: percepire i sentimenti degli altri, essere in grado di adottare la loro prospettiva e coltivare fiducia e sintonia emotiva con un’ampia gamma di persone fra loro diverse.
Abilità sociali: gestire bene le emozioni nelle relazioni e saper leggere accuratamente le situazioni e le reti sociali; interagire fluidamente con gli altri; usare queste capacità per persuaderli e guidarli, per negoziare e ricomporre dispute, come pure per cooperare e lavorare in team. (Goleman, Lavorare con intelligenza emotiva, 376).
La scuola prima ed i percorsi universitari poi non prevedono una formazione all’essere umano, un’alfabetizzazione emotiva. Se da una parte dismalcorati assistiamo all’incipiente disgregazione dei valori, alla sete di successo all’insegna del tutto e subito, alla crisi economica, morale ed ambientale, dall’altra il movimento di riscoperta dell’empatia (caratteristica distintiva dell’essere umano che può essere appresa ed allenata) si muove galoppando e coinvolgendo ogni ambito della società come sana reazione ed istinto di sopravvivenza della specie. Ed è in questo contesto culturale che nascono nuove professioni o si riscoprono antiche pratiche, eccone alcune:
il counseling in qualità di percorso di consapevolezza e relazione di aiuto,
la grafologia come conoscenza di sè e degli altri,
l’arte intesa come esplorazione e manifestazione di sè.
Attività, percorsi e laboratori che non si rivolgono all’individuo psichicamente patologico, ma a chi desidera ascoltare la propria voce interiore, accedere alle risorse sopite e risvegliare quella fiammella capace di esprimere il meglio di ognuno di noi.
L’ uso degli avatar, es. quello qui a destra, rende la comunicazione online “piu’ umana” stimolando interattivita’ ed empatia.
Così ci dice una ricerca, condotta da Laramie Taylor (2010), che ha analizzato le risposte di Yahoo Answer, un servizio dove le persone si iscrivono per porre domande e replicare alle questioni più disparate.
Un primo studio ha analizzato 881 risposte a 132 domande, mentre il secondo ha esaminato la natura altruistica delle persone che hanno risposto e l’eventuale uso degli avatar su 125 risposte. Ed è emerso come in questo tipo di comunità virtuale l’uso degli avatar aumentasse considerevolmenete il coinvolgimento emotivo dei partecipanti, infatti gli utilizzatori ricevevano non solo un maggior numero di riscontri ma erano anche espressi più empaticamente.
Il secondo studio ha invece evidenziato che chi era solito rispondere a quesiti con un avatar si caratterizzava per essere spinto da motivazioni interpersonali e altruistiche. I risultati sottolineano il potenziale valore aggiunto degli avatar come parte della interattività nei forum, infatti i siti nati per offrire supporto sociale ed aiuto, facilitando l’espressione e la condivisione delle emozioni, possono stimolare maggiormente la partecipazione offrendo ai propri utenti la possibilità di scegliere facilmente un avatar.
Le persone amano avere prova tangibile, sebbene solo virtuale, che esista davvero una persona dietro lo username con cui interagiscono online, un essere umano con le sue emozioni, esattamente come noi.
La balbuzie è un disturbo della comunicazione che colpisce la fascia d’eta’ adulta nell’ordine dell’1% in ogni cultura e società. Ognuno di noi, pertanto, nell’arco della sua vita, ha incontrato almeno una persona che balbetta. Ma… Come comportarsi?
NORMALMENTE! Ovvero dovremmo usare delle buone prassi e comunicare in maniera efficace, come sarebbe auspicabile, d’altro canto, fare sempre.
Innanzitutto ricordiamo che, chi balbetta, ha bisogno di piu’ tempo per riuscire a dire ciò che desidera, pertanto non interrompiamolo con domande pressanti ed evitiamo atteggiamenti impazienti.
Uno degli errori più comuni è suggerire le parole e terminare le frasi al posto loro. Non è detto che ciò che immaginiamo vogliano esprimere sia esattamente ciò che hanno in mente ed è un comportamento che causa nervosismo nel nostro interlocutore, alimentando il disagio come in un circolo vizioso.
Non diciamo: rilassati, stai calmo, prendi un bel respiro… Così facendo lasciamo intendere che pensiamo sia semplice superare i blocchi, invece non lo è per niente! Evitiamo anche il pietismo, non c’è nulla di più imbarazzante o irritante.
Utilizziamo semmai l’ascolto attivo, dimostrando che stiamo ascoltando veramente anche con il linguaggio del corpo, guardando negli occhi, assentendo, ripetendo parte del discorso e dimostrando che siamo interessati a cosa dicono, e non a come lo dicono.
Il paradosso della balbuzie vuole che entrambi si finga di non accorgersi della difficoltà… La persona che balbetta fa di tutto per controllarsi, e spesso non ci riesce. E noi trascorriamo tutta la conversazione sforzandoci di apparire naturali. Non è più naturale rompere la congiura del silenzio, se ci rendiamo conto che è il caso? Non sempre, ma a volte parlarne aiuta. Sta alla nostra empatia e sensibilità comprenderlo.