Le ricerche ci dicono che circa il 70% delle persone che conosciamo sono estroverse, al punto che la nostra società è costruita proprio sulle caratteristiche che le contraddistinguono: dominanza, espansione, socialità, attività. L’introversione, insieme ad altre qualità spesso sorelle come sensibilità e pacatezza, finisce per essere valutata come una modalità di percepire e relazionarsi col mondo negativa, quasi difettosa. Pensate solo ai luoghi di lavoro come open space, che per un introverso sono un vero tormento, siccome produce al suo meglio in solitudine e concentrazione. Continua a leggere…
Se in questo stesso momento l’aria della stanza dove ora vi trovate venisse risucchiata fuori, che cosa vi succederebbe? Non pensereste ad altro che a procurarvi aria. La vostra unica motivazione sarebbe la sopravvivenza. Ma adesso che avete l’aria, essa non vi motiva. Ecco una delle più grandi intuizioni nel campo della motivazione umana: i bisogni soddisfatti non motivano. Sono solo i bisogni insoddisfatti a motivare.
Dopo la sopravvivenza fisica, il più grande bisogno di un essere umano è la sopravvivenza psicologica: essere compreso, accettato, stimato, apprezzato.
Quando ascoltate con empatia un’altra persona le date aria psicologica.
Non molto tempo fa, in compagnia di un amico silenzioso e di un poeta già famoso nonostante la sua giovane età, feci una passeggiata in una contrada estiva in piena fioritura. Il poeta ammirava la bellezza della natura intorno a noi ma non ne traeva gioia. Lo turbava il pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire, che col sopraggiungere dell’inverno sarebbe scomparsa: come del resto ogni bellezza umana, come tutto ciò che di bello e nobile gli uomini hanno creato e potranno creare. Tutto ciò che egli avrebbe altrimenti amato e ammirato gli sembrava svilito dalla caducità cui era destinato. Da un simile precipitare nella transitorietà di tutto ciò che è bello e perfetto sappiamo che possono derivare due diversi moti dell’animo. L’uno porta al doloroso tedio universale del giovane poeta, l’altro alla rivolta contro il presunto dato di fatto.
No! è impossibile che tutte queste meraviglie della natura e dell’arte, che le delizie della nostra sensibilità e del mondo esterno debbano veramente finire nel nulla. Crederlo sarebbe troppo insensato e troppo nefando. In un modo o nell’altro devono riuscire a perdurare, sottraendosi ad ogni forza distruttiva. Ma questa esigenza di eternità è troppo chiaramente un risultato del nostro desiderio per poter pretendere a un valore di realtà: ciò che è doloroso può pur essere vero. Io non sapevo decidermi a contestare la caducità del tutto e nemmeno a strappare un’eccezione per ciò che è bello e perfetto. Contestai però al poeta pessimista che la caducità del bello implichi un suo svilimento. Al contrario, ne aumenta il valore! Il valore della caducità è un valore di rarità nel tempo. La limitazione della possibilità di godimento aumenta il suo pregio. Era incomprensibile, dissi, che il pensiero della caducità del bello dovesse turbare la nostra gioia al riguardo. Quanto alla bellezza della natura, essa ritorna, dopo la distruzione dell’inverno, nell’anno nuovo, e questo ritorno, in rapporto alla durata della nostra vita, lo si può dire un ritorno eterno. Nel corso della nostra esistenza, vediamo svanire per sempre la bellezza del corpo e del volto umano, ma questa breve durata aggiunge a tali attrattive un nuovo incanto. Se un fiore fiorisce una sola notte, non perciò la sua fioritura ci appare meno splendida. E così pure non riuscivo a vedere come la bellezza e la perfezione dell’opera d’arte o della creazione intellettuale dovessero essere svilite dalla loro limitazione temporale. Potrà venire un tempo in cui i quadri e le statue che oggi ammiriamo saranno caduti in pezzi, o una razza umana dopo di noi che non comprenderà più le opere dei nostri poeti e dei nostri pensatori, o addirittura un’epoca geologica in cui ogni forma di vita sulla terra sarà scomparsa: il valore di tutta questa bellezza e perfezione è determinato soltanto dal suo significato per la nostra sensibilità viva, non ha bisogno di sopravviverle e per questo è indipendente dalla durata temporale assoluta. Mi pareva che queste considerazioni fossero incontestabili, ma mi accorsi che non avevo fatto alcuna impressione né sul poeta né sull’amico. Questo insuccesso mi portò a ritenere che un forte fattore affettivo intervenisse a turbare il loro giudizio; e più tardi credetti di avere individuato questo fattore. Doveva essere stata la ribellione psichica contro il lutto a svilire ai loro occhi il godimento del bello. L’idea che tutta quella bellezza fosse effimera faceva presentire a queste due anime sensibili il lutto per la sua fine; e, poiché l’animo umano rifugge istintivamente da tutto ciò che è doloroso, essi avvertivano nel loro godimento del bello l’interferenza perturbatrice del pensiero della caducità.
Il lutto per la perdita di qualcosa che abbiamo amato e ammirato sembra talmente naturale che il profano non esita a dichiararlo ovvio. Per lo psicologo invece il lutto è un grande enigma, uno di quei fenomeni che non si possono spiegare mai ai quali si riconducono altre cose oscure. Noi reputiamo di possedere una certa quantità di capacità d’amare – che chiamiamo libido – la quale agli inizi dello sviluppo è rivolta al nostro stesso Io. In seguito, ma in realtà molto presto, la libido si distoglie dall’Io per dirigersi sugli oggetti, che noi in tal modo accogliamo per coì dire nel nostro Io. Se gli oggetti sono distrutti o vanno perduti per noi, la nostra capacità di amare (la libido) torna ad essere libera. Può prendersi altri oggetti come sostituti o tornare provvisoriamente all’Io. Ma perché questo distacco della libido dai suoi oggetti debba essere un processo così doloroso resta per noi un mistero sul quale per il momento non siamo in grado di formulare alcuna ipotesi. Noi vediamo unicamente che la libido si aggrappa ai suoi oggetti e non vuole rinunciare a quelli perduti, neppure quando il loro sostituto è già pronto. Questo dunque è il lutto.
La mia conversazione col poeta era avvenuta nell’estate prima della guerra. Un anno dopo la guerra scoppiò e depredò il mondo delle sue bellezze. E non distrusse soltanto la bellezza dei luoghi in cui passò e le opere d’arte che incontrò sul suo cammino; infranse anche il nostro orgoglio per le conquiste della nostra civiltà, il nostro rispetto per moltissimi pensatori ed artisti, le nostre speranze in un definitivo superamento delle differenze tra popoli e razze. Insozzò la sublime imparzialità della nostra scienza, mise brutalmente a nudo la nostra vita pulsionale, scatenò gli spiriti malvagi che albergano in noi e che credevamo di aver debellato per sempre grazie all’educazione che i nostri spiriti più eletti ci hanno impartito nel corso dei secoli. Rifece piccola la nostra patria e di nuovo lontano e remoto il resto della terra. Ci depredò di tante cose che avevamo amate e ci mostrò quanto siano effimere molte altre cose che consideravamo durevoli. Non c’è da stupire se la nostra libido, così impoverita di oggetti, ha investito con intensità tanto maggiore ciò che ci è rimasto; se l’amor di patria, la tenera sollecitudine per il nostro prossimo e la fierezza per ciò che ci accomuna sono diventati d’improvviso più forti. Ma questi altri beni, ora perduti, hanno perso davvero per noi il loro valore, perché si sono dimostrati così precari e incapaci di resistere?
A molti di noi sembra così, ma anche qui, ritengo, a torto. Io credo che coloro che la pensano così e sembrano preparati a una rinuncia definitiva perché ciò che è prezioso si è dimostrato perituro, si trovano soltanto in uno stato di lutto per ciò che hanno perduto. Noi sappiamo che il lutto, per doloroso che sia, si estingue spontaneamente. Se ha rinunciato a tutto ciò che è perduto, ciò significa che esso stesso si è consunto e allora la nostra libido è di nuovo libera (nella misura in cui siamo ancora giovani e vitali) di rimpiazzare gli oggetti perduti con nuovi oggetti, se possibile altrettanto o più preziosi ancora. C’è da sperare che le cose non vadano diversamente per le perdite provocate da questa guerra. Una volta superato il lutto si scoprirà che la nostra alta considerazione dei beni della civiltà non ha sofferto per l’esperienza della loro precarietà. Torneremo a ricostruire tutto ciò che la guerra ha distrutto, forse su un fondamento più solido e duraturo di prima.
La grafologia può essere utilizzata in diversi ambiti, non ultimo nell’analisi della complessa dinamica delle relazioni affettive. Relazioni d’amore o d’amicizia che siano, restano sullo sfondo gli stessi assunti di base: esiste sempre un motivo che ci porta ad avvicinarci a quella determinata persona, in quella precisa fase della nostra vita.
Citando Proust, quando scriveva che il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce… possiamo infatti affermare che per indagare le motivazioni del sentimento e dell’attrazione dobbiamo andare più a fondo, scendere in quella parte di noi che è celata alla consapevolezza, compiere un viaggio interiore che ci conduca all’inconscio, sede privilegiata delle scelte sentimentali… Anche quando compiute con la testa e non col cuore.
Profilo grafologico di coppia
Un profilo grafologico di coppia può illuminarci sulle motivazioni che ci hanno condotto tra le braccia del nostro/a amato/a, può descriverci le compensazioni e le reciproche corrispondenze che si mettono in gioco nel rapporto amoroso. Sappiamo bene come ognuno di noi sia a volte attratto dal diverso, a volte dall’uguale. Come una persona che ci rifletta come uno specchio rischi d’annoiarci nel tempo e come la troppa differenza finisca per allontanarci, a volte irrimediabilmente. La grafologia può dirci, in termini probabilistici e mai predittivi, come la nostra coppia si svilupperà nel tempo… E per quali ragioni…
La grafologia può illuminare le dinamiche dell’amore.
Cambiamento
Soprattutto un’analisi grafologica di coppia può promuovere in ognuno un cambiamento per andare incontro all’altro, qualora esista lo spazio per mettersi reciprocamente in discussione, onde percorrere insieme un’evoluzione che rafforzi le assonanze e stemperi le divergenze.
I copioni
Oppure comprendere, ex-post, cosa non abbia funzionato nella relazione passata può aiutarci, ex-ante, a non ripercorrere gli stessi passi nella successiva. Quante volte accade di ritrovarsi perennemente dentro lo stesso schema? Come se indossassimo occhiali con un filtro che selezionano una sola categoria di partner, da cui inizialmente siamo attratti con grande passione… dove tutto sembra perfetto, principi e principesse, anime gemelle, dove lui/lei ci appaiono come l’esatta metà della mela; col tempo invece ciò che ha attratto diventa ciò che divide, che delude, come in una spirale ci ritroviamo nuovamente davanti agli occhi gli orizzonti spenti, un amaro epilogo che sembra si ripeta inesorabilmente contro il nostro volere.
E’ possibile svelare l’arcano e interrompere il circolo vizioso? Ritrovare la speranza? Credo di sì, un cammino in due è ancor prima un cammino di crescita personale.
Per chi volesse approfondire sono stati recentemente pubblicati due interessanti libri, anche in formato ebook ed abbordabili anche dal non grafologo:
Perché gli opposti si attraggono e i simili si comprendono? Psico-grafologia dei legami d’amore, Fogarolo Lidia, Editore Graphe.it
Scegli il partner giusto con la grafologia, Urbani Paola, Editore Franco Angeli
E’ con vero piacere che condivido una breve recensione su un ebook di autoaiuto con tema il talento: “Esprimi il tuo Talento. Il Talent Coaching per la vita, per l’arte, per l’uomo”. L’autrice Natascia Pane è una Literary Manager e Talent Coach, qui al link la sua biografia, già stimolante di per sè. Non a caso l’autrice ha oculatamente identificato il formato digitale per poter raggiungere il più alto numero di persone possibile, usufruendo così dei nuovi media e della loro viralità. Scelta quanto mai opportuna in momenti difficili come gli attuali, per rammentare a tutti di essere i veri artefici del proprio destino, di possedere un talento che va solo allenato e diventare così i concreti realizzatori dei propri sogni. Chi non ne ha uno, nascosto in qualche recesso della memoria? L’autrice definisce infatti il talento come “l’espressione realizzata di ciò che siamo” e lo considera “una scelta frutto di esercizio, costanza e scommessa su noi stessi”. Nel manuale potrete trovare una serie di esercizi pratici per riscoprire il vostro e mettervi in gioco fin da subito; esercizi da svolgere quotidianamente e che necessitano di semplici materiali, reperibili ovunque: matite colorate, carta e penna, uno specchio, una macchina fotografica, un gomitolo di lana.
Allego un estratto dal comunicato stampa dell’agenzia Contrappunto: È un saggio innovativo, delicato e forte, etereo e concreto. È rivolto a chiunque creda di non aver alcun Talento, ma non vede l’ora di essere smentito. A chi crede che ci sia qualcosa di speciale dentro di sé, ma non sa come farlo uscire. A chi pensa di aver perso la speranza, ma è pronto a ritrovarla. È scritto per conoscere se stessi un po’ più a fondo, senza limiti. Un manuale per allenarsi alla vita.
Potete trovare l’ebook su iBookstore. Buona lettura e … Buon allenamento!
Mai come ora in tempi di recessione economica e crisi istituzionali si fa necessario che ognuno di noi sia resiliente e porti avanti i suoi obiettivi con spirito indomito e perseveranza, quasi fosse una sfida verso le circostanze. Siamo padroni delle nostre vite ed abbiamo possibilità di scelta, sempre, anche nelle situazioni più avverse. E’ il nostro sentirci coinvolti e impegnati che ci rende parte attiva di mutamenti e prese di decisione. A qualsiasi livello, dal più basso al più alto, e viceversa. Nessuno escluso. Quando ci coglie la netta sensazione di aver perso il controllo della situazione, o meglio, di non averlo mai posseduto… ricordiamo che stiamo rischiando di scivolare in un ottimo alibi per non sentirci responsabili, di noi, e degli altri.
E qualora l’orizzonte ci sembri talmente fosco da non distinguerne più i contorni… E che tutto concorra nel farci perdere la fiducia nel domani…
Chiediamo aiuto.
Ed apriamoci a qualcuno che ci ascolti veramente, che non proietti su di noi le sue personali aspirazioni e/o angosce, per raggiungere quelle risorse nascoste nel nostro animo spaventato, ma che vivificano la luminosa scintilla d’oro: la speranza.
Concludo citando un passo di Cunsuelo Casula, tratto dal libro “La forza della Vulnerabilità”.
La resilienza è la forza delle persone che, nonostante siano state ferite, si considerano non vittime ma utilizzatori delle proprie risorse e si preparano a recuperare le risorse necessarie per affrontare il futuro con speranza progettuale. La parola resilienza (dal latino resilire, rimbalzare) in fisica indica la proprietà dei materiali di riprendere la forma originaria dopo aver subito un colpo. In sociologia e psicologia evidenzia la capacità umana di superare le difficoltà della vita con elasticità, vitalità, energia, ingegnosità. Resilienza è l’abilità di superare le avversità, di affrontare i fattori di rischio, di rialzarsi dopo una crisi, più forti e più ingegnosi di prima: è l’abilità di superare le ingiustizie della vita senza soccombere.