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Coltivare la speranza

Anche il counselor deve avere la speranza dentro di sè e per scriverne prendo a prestito parole altrui:

Instaurare una relazione d’aiuto con qualcuno implica la capacità di tenere aperto il tempo davanti a sè: si schiude così un tempo di attesa in cui chi ha cura riduce la propria soggettività per creare quel campo vitale indispensabile all’apparizione della soggettività altrui. Continua a leggere…

empatia e simpatia

Empatia VS Simpatia

Teresa Wiseman ha individuato le quattro qualità dell’empatia: assunzione di prospettiva, la capacità di mettersi nei panni di un’altra persona, nessun giudizio e… Comunicarlo! Ma quante volte riusciamo a farlo? Quante volte invece cadiamo nell’indulgenza, in frasi apparentemente consolatorie che in realtà comunicano distanza oppure una valutazione, mascherata da consiglio? Empatia invece è entrare in connessione con l’Altro e spesso non sono nemmeno necessarie le parole. Basta un abbraccio.




Gli 80 anni di Botero a Pietrasanta

Per festeggiare gli 80 anni il maestro colombiano Fernando Botero ha scelto Pietrasanta, in Versilia, che ospitera’ fino al 2 settembre la grande mostra ‘Fernando Botero: disegnatore e scultore’. L’artista ha deciso di focalizzare il percorso espositivo – a cura di Alessandro Romanini – sul disegno, offrendo un repertorio completo delle tecniche e della sua iconografia. Dalla semplice matita al pastello, passando per il gesso, la sanguigna e il carboncino fino all’acquerello. (ANSA)
Le opere scultoree sono esposte nella Piazza, mentre la mostra gratuita è aperta al pubblico dalle 18.00 alle 24.00.

Credo che l’arte debba dare all’uomo momenti di felicità, un rifugio di esistenza straordinaria, parallela a quella quotidiana.
F. Botero

Ripensando alla neuroestetica, la scienza che spiega come il cervello reagisce all’incontro con l’opera d’arte, torniamo ai neuroni specchio (il meccanismo neurale alla base dell’empatia) e di come si attivino stimolando una sorta di immedesimazione (cognitiva, emotiva e motoria) con essa, che ci consente di vivere e rivivere le emozioni e le sensazioni corporee vissute dai protagonisti raffigurati nelle opere d’arte.
Giocando un ruolo esattamente contrario ai messaggi anoressici, tesi e rinunciatari dei mass media, le voluttuose forme di Botero assumono invece un effetto catartico e rilassante. L’assenza di movimento diventa una sorta di elogio della lentezza, la rotondità diventa piacere, lo spazio dato al colore diventa forma espressiva e comunicativa.
Pacatezza, distensione, assenza di conflitto, Botero mi fa pensare ad opere anti-stress.
Faccio mie le parole di Dacia Maraini sull’artista: la prima riflessione di un profano di fronte ai quadri di Botero è di una festosa complicità. Si entra volentieri nelle sue case, si fa volentieri amicizia con i suoi personaggi paffuti; ci si siede, si guarda, si è presi dalla voglia di sorridere.

Consiglio la visita alla Piazza la mattina presto, giochi di luce e riflessi sul bronzo delle statue, silenzio ed osservazione pura. 😉

Le bugie hanno le gambe corte

Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito, perché ve ne sono di due specie: vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo: la tua per l’appunto è di quelle che hanno il naso lungo. Pinocchio, Collodi

Le ricerche sull’empatia hanno dimostrato che rispecchiare il linguaggio del corpo e del volto dell’interlocutore facilita le interazioni sociali permettendo una migliore comprensione delle emozioni tra gli individui, sentendo ciò che l’altro sente.

Ma se l’imitazione, grazie al connaturato sistema dei neuroni specchio, aiuta a comprenderci l’un l’altro può anche avere un ruolo nel rilevare le menzogne?
Un nuovo studio, pubblicato su Psychological Science, ha cercato di rispondere alla domanda.
A 92 soggetti venne chiesto di discorrere con un interlocutore che sosteneva di aver offerto una donazione ad un ente benefico – alcuni l’avevano realmente fatta, altri mentivano. Il compito prevedeva dichiarare successivamente ai ricercatori se il supposto donatore avesse detto o meno la verità. I partecipanti vennero suddivisi in 3 gruppi secondo le istruzioni ricevute:

  1. mimare l’interlocutore
  2. non mimare l’interlocutore
  3. nessuna istruzione

I risultati: coloro che non mimavano riuscirono ad identificare i bugiardi più di coloro che mimavano, contraddicendo l’assunto che il rispecchiamento ci aiuti sempre a comprendere le emozioni altrui. Purtroppo i risultati dimostrarono anche come i partecipanti di tutti i tre gruppi non fossero particolarmente dotati nel rilevare le menzogne, fatto che avvalla un’altra teoria secondo la quale sia una rara capacità innata e che sia difficile funzionare come abili lie-detector, a meno di non aver ricevuto un training specifico.

La ricerca ci fornisce comunque un piccolo aiuto nella quotidianità: tenere a bada la nostra naturale empatia aumentando la distanza emotiva è un atteggiamento utile qualora nutrissimo dei dubbi sulla persona che abbiamo di fronte (ad esempio un venditore che ci propone un “affare”) e può offrirci qualche possibilità in più nel valutare correttamente la veridicità delle sue affermazioni.  Durante le investigazioni gli inquirenti tendono a mettere a proprio agio l’interlocutore per indurlo a lasciarsi andare ed abbassare le barriere difesive ma è un metodo complesso che cela sia lati positivi che negativi: diminuisce il nervosismo dell’intervistato e lo incita all’apertura ma di converso un suo uso eccessivo riduce anche la capacità di giudizio dell’intervistatore. E’ infatti provato come distogliere lo sguardo  non sia  sempre segnale di disinteresse o timidezza ma serva ad aumentare la concentrazione, in quanto si ha una difficoltà enorme a guardare un viso e contemporaneamente prendere una decisione e pensare. Ecco spiegato perchè è così difficile diventare degli abili “scopritori di menzogne”: è necessario, insieme a precise tecniche di conduzione del colloquio ed a una conoscenza approfondita dei linguaggi del corpo, un controllo costante delle proprie emozioni, calibrando distacco emotivo ed apparente coinvolgimento.

Gli adolescenti hanno cervello?

Una domanda provocatoria? Ogni genitore di figli adolescenti lo pensa spesso scherzosamente, o lo teme preoccupato secondo i casi. Potrebbe sembrare  un giudizio sui giovani in generale, della ben nota serie “ Ai miei tempi sì che …” E non esiste maniera peggiore per rapportarsi a dei ragazzi che stanno faticosamente crescendo ma che manifestano comportamenti impulsivi, irrazionali e a volte imprevedibili.
Fino a pochi anni orsono si pensava, grazie agli studi di Jean Piaget, che il gradino più alto della scala dello sviluppo cognitivo fosse la fase delle “operazioni formali”, stadio che si completa intorno ai 12 anni. Inoltre era opinione comune che il comportamento eccitabile ed emotivo degli adolescenti fosse da imputare soltanto allo scoppio ormonale connaturato all’età. Le ricerche scientifiche e gli studi di neuroscienza degli ultimi anni ci dimostrano invece come le cose stiano diversamente: la parte del cervello – i lobi prefrontali, sede delle capacità di problem-solving – che rende gli adolescenti più responsabili, non è ancora matura come quella di un’adulto e si ritiene che l’encefalo nel suo complesso raggiunga lo sviluppo completo non prima dei 21 anni. Pertanto sovrabbondanza di ormoni, certo, ma anche scarsi controlli cognitivi necessari per comportamenti maturi. Un mix esplosivo.
Rispetto al passato la società ha subito spinte che non sempre sono state evolutive ed essere giovani oggi è più difficile di un tempo: vige la legge del tutto e subito, della fruibilità fine a se stessa per riempire vuoti esistenziali, il consumo è diventato pian piano consumismo, dall’uso dei mezzi di comunicazione si è passati all’abuso compulsivo, dalla globalizzazione si è giunti all’omologazione come fuga dalle proprie responsabilità. Le aree del cervello che frenano i comportamenti impulsivi e rischiosi sono ancora in fieri e lasciare i nostri ragazzi soli a se stessi, pensando che “ormai sono grandi” diventa come pretendere che un’automobile scenda e salga dalle montagne senza avere una guida affidabile.

Il compito di noi genitori è, ancor più che nel passato, quello di fungere da mediatori con l’ ambiente esterno, non imponendo divieti categorici ma motivando le scelte educative e suggerendo possibili alternative in un dialogo aperto e costruttivo. Secondo i dati 2009 dell’Osservatorio europeo delle droghe  sta crescendo l’abuso di cocaina ed eroina e l’ Italia è il paese europeo con il consumo più alto di cannabis. Siccome è anche dimostrato come i danni da ecstasy ledano a lungo termine proprio le zone cerebrali deputate alla valutazione del rischio, come possiamo agire in qualità di genitori?
In un certo senso sostituendoci ai loro lobi frontali in via di formazione e stimolandoli con costanza alla riflessione. Una sorta di ginnastica mentale.
Riporto una considerazione di uno dei ricercatori rivolta all’autrice del libro che indico alla fine dell’articolo: “Rifletta, per esempio, su quanto sto per dirle. Lei ha due figlie. Mi dica, crede di influenzarle di più facendo loro ramanzine o con quelle chiaccherate a ruota libera che ha con loro, quando sono sedute sul sedile posteriore della macchina?”

Ricordiamolo sempre: l’autoritarismo ed il controllo fine a se stessi finiscono per risultare la peggior prevenzione.
Una sbarra può venir facilmente scavalcata mentre stimolare la motivazione all’indipendenza di giudizio ha molte più probabilità di ottenere successo.
Un successo che preserverà il futuro dei nostri figli e la loro salute fisica e psichica.

Per approfondire: Capire un adolescente, Barbara Strauch, Mondadori.

AGGIORNAMENTO: un video che spiega come funziona il cervello dell’adolescente

Balbuzie: consigli ai genitori

Voi dite che è faticoso frequentare i bambini. Avete ragione. E aggiungete: perchè bisogna abbassarsi, inchinarsi, curvarsi, farsi piccoli piccoli. Ed è là che vi sbagliate,
perchè la cosa che stanca di più non è questa, ma il fatto che con i bambini si è obbligati a sollevarsi, a mettersi sulla punta dei piedi per raggiungere l’altezza dei loro sentimenti, per non ferirli.

– Janos Korczak

Sappiamo che le persone che balbettano, e i loro genitori, NON soffrono di disturbi psichiatrici o psicologici più della popolazione in generale e che non li esibiscono in modi che possano essere sospettati di essere la causa del disturbo stesso (Bloodatain, 1995; Yairi, 1997).

L’impatto di questa informazione è solitamente di gran sollievo, perché racchiude in sé il significato che un genitore non ha la colpa di essere stato troppo severo, troppo permissivo, troppo autoritario tale da aver ingenerato nel proprio figlio il disturbo.

Le ricerche non dimostrano con nessuna evidenza che se il genitore avesse agito differentemente avrebbe evitato la comparsa dalla disfluenza.

Ad ogni buon conto, una volta che il disturbo è emerso è bene attuare una serie di comportamenti che si suppone siano utili per non stigmatizzare ( non certo però per acquisire la fluenza) il problema e per fare in modo che al bambino sia evitato il più possibile un carico emotivo di tensione e frustrazione .

Sia che la balbuzie si confermi nel tempo, sia che diminuisca fino a scomparire.

  • Parlate a vostro figlio senza fretta, con frequenti pause. Aspettate qualche secondo quando ha finito di parlare prima di rispondere. Il vostro eloquio rilassato e lento sarà molto più efficace di qualsiasi consiglio o criticismo tipo: parla più lentamente, prendi fiato, ripetilo con calma etc.
  • Riducete il numero delle domande che ponete a vostro figlio. I bambini parlano più liberamente se stanno esprimendo le loro idee personali piuttosto che rispondere alle domande degli adulti. Invece di porre domande, argomentate semplicemente ciò di cui vostro figlio sta parlando, facendogli comprendere che lo state ascoltando. Ripetete le frasi con cui si trova maggiormente in difficoltà per dimostrare che avete capito.
  • Rispettate i turni nel dialogo e spingete gli altri familiari a fare altrettanto. Non interrompetelo con domande, commenti o mettendogli fretta mentre sta cercando di esprimersi.
  • Usate il linguaggio del corpo e le espressioni del volto per comunicare a vostro figlio che, quando balbetta, state prestando ascolto a cosa dice e non a come lo dice. Non perdete mai il contatto visivo con vostro figlio, non abbassate lo sguardo nemmeno quando la balbuzie si esprime con un blocco totale. Le vostre emozioni, sono le sue emozioni.
  • Organizzate quotidianamente del tempo da dedicare a vostro figlio in maniera esclusiva. In quest’occasione lasciatelo svolgere le attività che preferisce e lasciatelo decidere se parlare o meno. Quando parlerà, in questo lasso di tempo speciale, usate un parlato lento, calmo e rilassato, pieno di pause. Può diventare una costruzione di confidenza per i più piccoli che dimostrerà loro che i genitori amano la loro compagnia, mentre per i più grandi può diventare uno spazio dove il bambino si sentirà a proprio agio e si aprirà a raccontare i suoi sentimenti e le sue esperienze. In quest’occasione fategli comprendere che ha molto tempo davanti a sé per spiegarsi.
  • Se vostro figlio vi parla della sua disfluenza, rassicuratelo. Ditegli che anche a voi a volte capita di bloccarvi, ma soprattutto fategli capire che lo accettate per come egli è. La forza più potente sarà comunque il vostro supporto sia che balbetti sia che sia fluente.
  • Non costringetelo ad esibirsi davanti a parenti od amici nel recitare, cantare o nel dire frasi di circostanza soprattutto nei giorni di maggiore disfluenza.
  • Non terminate le parole o le frasi per lui quando incorre nel blocco. Crediamo di aiutare ma in realtà creiamo frustrazione e rinforziamo l’evitamento di situazioni temute.
  • Sollecitate fratelli ed amici del bambino a non imitare il suo parlato non fluente e fate in modo che non sia deriso o sottovalutato, in particolar modo nell’ambito familiare.
  • Non fate commenti sul suo modo di parlare, il rischio è di farlo sentire inadeguato e stimolare l’emergere dell’ ansia dell’aspettativa.

Questi semplici accorgimenti, che riescono a diminuire la pressione comunicativa, a volte possono portare a una diminuzione degli episodi di disfluenza.

Ciò che è certo è che vostro figlio si sentirà accolto e compreso.

E avrà fiducia in voi perché rappresenterete quel porto sicuro a cui tornare nei momenti di sconforto. Oltre alla sua crescita personale tutto ciò risulterà di fondamentale importanza qualora la balbuzie non scompaia e diventi auspicabile accedere ad un corso. Ricordate che durante i trattamenti per la balbuzie i genitori rivestono un ruolo che può fare la differenza ai fini del risultato.

(Gran parte dei Consigli sopra riportati sono tradotti da una brochure per genitori della Stuttering Foundation of America, organizzazione senza scopo di lucro che si occupa di sensibilizzazione ed informazione)

 

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