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Balbuzie ed empatia, facciamo il punto

E’ noto come la balbuzie si manifesti somaticamente con blocchi nel parlato, esitazioni e prolungamenti di suono sebbene troppo spesso ci si focalizzi soltanto su cosa appare all’esterno, su ciò che è udibile, ritenendolo l’unico fattore degno di nota; non consideriamo il vissuto interno e le conseguenze emotive che comporta un disturbo che colpisce così pesantemente la sfera della comunicazione. Non poter esprimere cosa si vuole quando si vuole ingenera nel tempo una sensazione di impotenza appresa, causando un’impressione di perdita di controllo (Quesal, 2010).

Convinzione che porterà nel tempo chi balbetta ad evitare le situazioni temute, al silenzio imposto a se stessi per timore della brutta figura, quando invece ci sarebbe “tanto da dire e da comunicare”. La balbuzie è variabile e ciclica per sua natura. Variabile nel senso che si presenta più o meno gravemente in base alle circostanze e situazioni (meno in contesti scevri da ansia da prestazione, quasi nulla parlando da soli e nella lettura all’unisono, assente nel canto), ciclica nel senso che può attenuarsi nel tempo per poi inaspettatamente ricomparire, senza un perché o una causa scatenante. Le persone che balbettano ritengono di poter essere comprese soltanto da chi è colpito dal medesimo problema, ed in effetti hanno spesso – anche se non sempre – ragione. Per poter comprendere almeno in parte, è necessario far ricorso all’empatia. Ma cos’è l’empatia? E’ la capacità di mettersi in contatto con un’altra persona, immedesimandosi sino a coglierne gli stati d’animo. (Dizionario di scienze psicologiche, Edizioni Simone); che non saranno mai esattamente uguali, ma “come se”. In parole povere immaginare di camminare con le scarpe di un altro. E’ per questo che i programmi che affrontano la rieducazione del parlato dovrebbero rivolgersi non soltanto all’apprendimento di tecniche per riguadagnare la fluenza, misurando la riuscita dell’intervento in base all’assenza o meno dei blocchi. Ma porre come centrali le sfere relazionali ed emotive, accompagnando la persona che balbetta in un cammino di cambiamento avvalendosi delle risorse interiori e dei punti di forza – unici per ognuno, col fine ultimo di  riprendere il controllo della propria vita.

Fonti

1.

Quesal RW. Empathy: perhaps the most important E in EBP. Semin Speech Lang. 2010 Nov;31(4):217-26. PMID: 21080294. [PubMed] [Read by QxMD]

balbuziente cantare

Balbuzie e canto

Non si balbetta nè per timidezza, nè per troppa emotività. Le ragioni sono svariate e complesse ma non sono psicologiche.

Solo fino a pochi anni fa la balbuzie era ancora avvolta da un alone di mistero.
Grazie a complesse tecniche di indagine diagnostica ed esplorativa non invasive (es. PET, risonanza magnetica funzionale, tac etc.), che hanno permesso di indagare zone del nostro corpo prima irraggiungibili, oggi è possibile fornire delle prime risposte a quesiti che lasciavano dubbiosi anche gli operatori del settore.
Tutte le persone che balbettano sanno che durante il canto riescono a modulare la propria voce fluentemente, senza sforzo alcuno, esattamente come accade durante la lettura corale.
Come noto, le zone cerebrali deputate alla produzione del parlato sono posizionate nell’emisfero sinistro del cervello, mentre i risultati delle recenti ricerche (Jeffries, Fritz, Braun – Neuroreport, Brain Imaging, 2003) ci dimostrano che la generazione delle parole durante il canto è associata ad un’attivazione di aree dell’emisfero destro che non corrispondono ad aree omologhe controlaterali; questi risultati suggeriscono che multipli networks neuronali sono coinvolti nel meccanismo della produzione del canto.
La maggiore attivazione dell’emisfero destro ci spiega gli effetti di evocazione della fluenza durante il canto in disordini come l’afasia e la balbuzie e supporta la teoria di una concausa biologica nella genesi e nell’andamento di tale disturbo, spiegandoci perchè cantando  scompaiano i blocchi che restano invece udibili nel parlato comune.
Pur restando necessarie ulteriori conferme, la ricerca continua a rispondere scientificamente agli interrogativi che finora hanno accompagnato la balbuzie, spesso scartando la causa psicologica tra i complessi fenomeni che la contraddistinguono.

Il canto, inoltre, migliora gli effetti dei disturbi del parlato siccome stimola direttamente la muscolatura associata alla respirazione, alla fonazione e all’articolazione della parola. L’atto di cantare produce inspirazioni più profonde e veloci, seguite da espirazioni più regolate ed estese e richiede inoltre che il respiro sia più controllato per riuscire a mantenere le note, infatti controllo vocale ed intensità sono più elevati. In aggiunta vi sono studi che dimostrano come l’allenamento al canto aumenti la forza muscolare respiratoria. Durante gli episodi di balbuzie le corde vocali si contraggono forzatamente (laringospasmo) e cantare, mantenendo l’espirazione costante e controllata, le conserva aperte e rilassate, evitando che il sintomo si presenti.

Ecco spiegato perchè diversi metodi che perseguono il controllo della balbuzie si avvalgono anche dell’insegnamento di tecniche che, in un modo o nell’altro, mirano a modulare diversamente la respirazione.

Balbuzie: cause genetiche?

balbuzie
Ricevo periodicamente mail da genitori preoccupati di aver in qualche maniera causato l’emergere della balbuzie ai loro piccoli, chi riferisce una caduta, chi l’entrata alla scuola materna, chi l’arrivo di un fratellino, e via dicendo. Ma le cose non stanno così, la balbuzie è un problema di origine biologica/neurofisiologica/ambientale e non psicologica, come ci dimostra la scoperta di alcuni geni mutati nel DNA delle persone che balbettano. La notizia risale a febbraio, con la pubblicazione dell’articolo sulla rivista New England Journal of Medicine, che rivela la scoperta di tre  mutazioni genetiche nelle cellule cerebrali di chi soffre di balbuzie. Le suddette cellule sono localizzate nelle zone cerebrali che regolano il parlato, il che fa ipotizzare che i geni giochino un importante ruolo nel disordine.
Il dottor Dennis Drayna, ricercatore del National Institute on Deafness and Other Communication Disorders e co-autore dello studio in questione, dice in un’ intervista: “Molti, molti aspetti sono stati suggeriti essere causa del disturbo. Nessuno di loro ha confemato di essere vero. Per la prima volta, oggi, conosciamo una delle cause del disordine”. E continua: “Le persone che sono aiutate da un tipo di terapia possono essere persone con una mutazione in uno di questi geni, mentre persone che sono aiutate da un’altro tipo di terapia possono essere persone con una mutazione in un altro dei geni che abbiamo identificato. Per la prima volta possiamo chiederci: perchè alcune cure funzionano bene per certuni e non per altri ?”
La scoperta necessita ulteriori studi, ma riaccende la luce della speranza, con l’obiettivo di riuscire ad affrontare il disturbo con terapie sempre più efficaci, inoltre, come dice bene Jane Fraser, presidente della Stuttering Foundation of America: “I genitori non causano la balbuzie, e questa ricerca dovrebbe togliere il fardello della colpa dalle loro spalle”.
Per approfondire, la Webgrafia: CNN, PubMed, Stuttering Foundation of America.
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AGGIORNAMENTO – Agenzia stampa AGI:

– Washington, 21 feb. – La balbuzie e’ genetica. Un gruppo di ricercatori del National Institutes of Health americano ha identificato tre mutazioni genetiche che influenzano il modo in cui il cervello elabora il discorso e che sono molto comuni nelle persone che balbettano. I risultati sono stati presentati in occasione del meeting dell’American Association for the Advancement of Science in corso a Washington. “E’ chiaro che questi difetti non sono la sola causa del disturbo”, ha precisato Dennis Drayson, scienziato che ha coordinato lo studio. “Una grande frazione del disturbo – ha continuato – non e’ probabilmente genetica per tutti, ma questi geni ci stanno fornendo un sacco di sorprese”. “A occhio e croce – ha detto Drayna – circa la meta’ delle balbuzie e’ dovuta a quello che ereditiamo dalla famiglia”. Al momento gli scienziati americani hanno creato in laboratorio un topo geneticamente modificato che ha le mutazioni genetiche individuate. Ora i ricercatori sono convinti di poter trovare una cura per trattare la balbuzie genetica.
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Fonti

Balbuzie e pregiudizio

i pregiudizi sulla balbuzie

Uno studio recente, pubblicato su una delle più prestigiose riviste che trattano di disordini della fluenza*, ha indagato gli effetti dell’ attribuzione dell’ origine della balbuzie.
Sono state mostrate a 204 studenti universitari 3 vignette dove venivano presentate differenti cause: psicologica, genetica o sconosciuta.
Ai partecipanti della ricerca è stato successivamente somministrato, insieme ad altri, un test di valutazione della distanza sociale in relazione ad ognuna delle vignette ed il risultato ha evidenziato come la causa psicologica sia valutata più negativamente rispetto alle altre due.

Sebbene non sia emersa alcuna differenza tra la causa genetica e quella sconosciuta, resta avvalorato come sia importante continuare a educare l’opinione pubblica in merito alle cause d’esordio, poichè la distanza sociale è sempre associata a stigma e discriminazione.
I ricercatori ritengono che fornire la corretta informazione dell’ assenza  di evidenze scientifiche che avvallino la teoria della causa psicologica della balbuzie porterà col tempo ad una diminuzione dei pregiudizi negativi e faciliterà l’esistenza di chi ne è affetto.

*J Fluency Disord. 2009 Sep;34(3):201-18.
Effects of perceived causality on perceptions of persons who stutter.
Boyle MP., Blood GW., Blood IM.

Balbuzie e qualita’ di vita

Le condizioni fisiche disabilitanti hanno un impatto sfavorevole sulla qualità di vita e da sempre la ricerca scientifica ha indagato gli aspetti emozionali considerati elementi basilari per poter meglio superare ed affrontare uno stato di malattia. Negli ultimi anni abbiamo assistito al fiorire di studi sugli esiti sociali, lavorativi e mentali anche in disordini di comunicazione come la balbuzie, dando maggiore enfasi a ciò che coloro che balbettano già sanno, sperimentandolo quotidianamente in prima persona. E’ emerso come l’ansia sia una conseguenza di precedenti esperienze frustranti e come, in età adulta, risulti un fattore potenzialmente discriminante per le ricadute nella disfluenza dopo eventuali trattamenti.
Un’ ulteriore ricerca, compiuta in Australia presso l’Università di Sydney (The impact of stuttering on the quality of life in adults who stutter, A. Craig , E. Blumgart, Y. Tran), ha recentemente indagato le conseguenze della balbuzie sulla qualità di vita di un numeroso campione di adulti balbuzienti utilizzando interviste e questionari, nonché materiale registrato. I partecipanti totali al progetto sono stati 400, suddivisi in due gruppi, una metà composto da persone che balbettano e l’altra metà, di controllo, composto da normofluenti.
Come ipotizzato, i risultati ci dimostrano che i soggetti balbuzienti possiedono un livello di qualità di vita più basso rispetto ai normofluenti in almeno quattro aree distinte: vitalità, funzionamento sociale, salute emozionale e mentale.
In realtà queste considerazioni non ci devono sorprendere perché già sappiamo quanto la balbuzie possa essere imbarazzante e frustrante; è ormai noto come l’ansia anticipatoria sortisca effetti eclatanti sul comportamento, spingendo le persone che balbettano ad evitare il più possibile le situazioni sociali che prevedono interazioni verbali e conversazioni.
Piuttosto è più saggio sottolineare le implicazioni sottese a queste considerazioni, affinchè siano utili e non si fermino a una mera descrizione del fenomeno.

Ed è esattamente ciò che bene esprimono gli Autori nella conclusione dello studio in via di pubblicazione:

 

  • E’ fondamentale che la ricerca continui a focalizzarsi nello sviluppo di trattamenti rivolti ai bambini e nel migliorarne l’ efficacia, per evitare che la balbuzie si strutturi cronicamente con tutte le ripercussioni precedentemente descritte che comporta.

 

  • Valutando l’efficacia ed i risultati dei trattamenti è importante indagare la qualità di vita prima e dopo i corsi.

 

  • I protocolli di trattamento rivolti agli adulti dovrebbero essere disegnati indirizzandosi specificatamente al superamento delle problematiche più diffuse come la fatica, il funzionamento sociale, l’instabile emotività e la salute mentale generale.

 

  • Il fatto che la balbuzie influisca sulla qualità di vita delle persone che balbettano similmente a coloro che hanno subito traumi neurologici, che sono state vittime di infarto o che soffrono di diabete deve essere tenuto ben presente da coloro che si occupano di trattamento della balbuzie, perseguendo strategie che aiutino a superare questo impatto sfavorevole e doloroso.

 

  • Per ultimo ma non per ordine di importanza, è necessario promuovere una pressione sulle autorità preposte alla salute, per ottenere che vengano indirizzate più risorse alla ricerca così da migliorare i risultati dei trattamenti ed evitare conseguenze potenzialmente negative sulla vita di tante persone.

Balbuzie e tecniche di induzione della fluenza

Uno studio recente (G.J. Snyder et al., Perceptual and Motor Skills, 2009) ha svelato un alternativo metodo di induzione della fluenza che dischiude nuove opportunità sia sul versante della cura della balbuzie che nella quotidianità delle persone che balbettano.
La ricerca è stata effettuata su un campione composto da 8 adulti balbuzienti, la maggioranza dei quali presentavano ricadute nel disturbo dopo i trattamenti.
I partecipanti sono stati invitati a leggere al telefono un testo prestabilito, in due diverse condizioni: nella prima era previsto che durante la lettura i soggetti non utilizzassero nessuna tecnica mentre nella seconda erano istruiti ad eseguire il compito sentendo la cartilagine tiroidea (pomo d’Adamo) vibrare, appoggiandovi sopra il dito indice e pollice (nello specifico, dovevano estendere il dito indice a 90° dal pollice, ponendoli delicatamente sulla gola fino a percepirne le vibrazioni).
Tutte le telefonate sono state effettuate tramite Skype e registrate su file audio. Le riproduzioni sono state successivamente analizzate ed in particolare contate il numero di sillabe balbettate. Il risultato è sorprendente: con l’ utilizzo del feedback vibro-tattile è stata riscontrata in media una diminuzione dei blocchi del 72%.

Mentre il meccanismo sotteso al fenomeno resta sconosciuto e sono necessari ulteriori approfondimenti per indagarne le possibili implicazioni terapeutiche, sembra invece risultare un’ efficace strategia compensatoria per quelle occasioni che non comportano un’interazione faccia a faccia, come nei dialoghi telefonici, fonte di ansia per molte persone che balbettano.
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