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Training Autogeno e rilassamento

rilassamento Il Training autogeno è una tecnica di rilassamento ideata nella prima metà del secolo da J.H. Schultz, neurologo e dermatologo,  che prende l’avvio dai suoi studi in medicina psicosomatica e ipnosi. In quest’ambito notò come i suoi assistiti sperimentassero sensazioni di pesantezza e calore dopo le sedute, unitamente a sensazioni di rilassamento. L’ipnosi si basa infatti sulla “commutazione fondamentale” che viene prodotta sia a livello psichico che somatico e Schultz perfezionò una metodologia capace di ottenere il medesimo effetto in modo autoindotto senza l’ausilio del terapeuta al fine di “trasmettere al partecipante migliore contatto col proprio sistema nervoso vegetativo, quindi con il controllo delle energie, dalla fase di strutturazione alla fase di utilizzo delle stesse e viceversa, e di renderlo in ciò più concentrato, disteso, e anche più creativo e produttivo.” (Wallnofer, 2008)

Io penso che, come un giardiniere che ripulisce dagli intralci il giardino, sia possibile rimuovere gli ostacoli che impediscono il vero sviluppo individuale. “Schultz I.H.”

Training autogeno significa “allenamento” che si genera (greco=genos) “da sé” (greco=autos) e consta nell’ allenarsi, almeno tre volte al giorno, nell’esecuzione di sei esercizi di base che si consiglia siano insegnati da un conduttore che abbia adeguata formazione e che abbia sperimentato il TA su di sè. Nell’arco di una decina di incontri, in gruppo o individuali, è possibile diventare indipendenti  continuando a praticare l’allenamento in completa autonomia.  L’allenamento richiede un setting adeguato allo scopo e che il soggetto entri in contatto mentale con le zone del corpo indicate dalla formula relativa ad ogni esercizio, un’attitudine mentale che focalizzi l’attenzione più sul processo che sul risultato e la ripetizione mentale delle formule autogene secondo le indicazioni del conduttore del training.

Gli esercizi si dividono in due fondamentali:

  • il primo tende a produrre uno stato di rilassamento muscolare, dei muscoli striati e lisci;
  • il secondo porta ad una vasodilatazione periferica con conseguente aumento del flusso sanguigno e percezione del calore corporeo.

E  quattro complementari:

  • esercizio del cuore
  • esercizio del respiro
  • esercizio del plesso solare
  • esercizio della fronte fresca

Per sperimentare l’autogenia è necessaria l’inibizione dell’attenzione esterna e la sua commutazione verso l’attenzione interna, l’accettazione passiva di tutte le percezioni presenti e il mantenere per alcuni minuti lo stato di esclusiva percezione del funzionamento dell’organismo in condizioni di minima interferenza della volontà. (De Rivera Y Revuelta). Lo stato mentale della concentrazione passiva ricorda il paradosso Taoista del wei wu wei, inteso come azione senza azione, per arrivare a concentrarsi e nel contempo lasciar accadere, lasciando fluire e scorrere i pensieri con un atteggiamento mentale di noncuranza.wei-wu-wei Ci si addestra al non-fare, mantenendo un atteggiamento di osservazione ricettiva senza né rifiutare né partecipare a ciò che si osservaPossiamo inoltre pensare al training autogeno come alla via occidentale della meditazione, in quanto è provato come la concentrazione passiva induca uno stato alterato di coscienza (ASCI); già da sola l’esperienza ASCI  può favorire stabilità emotiva e la soluzione di conflitti interni, donando rilassamento e una visione ampliata della realtà personale.

“Il significato pratico di uno smorzamento della risonanza emotiva è evidentemente di grande importanza nella vita quotidiana.[…] Esso può inoltre essere anche utilizzato come tecnica profilattica allo scopo di consentire la possibilità di difendersi da situazioni particolarmente impegnative che si debbano affrontare.”
(J.H. Schultz, 1966)

“Si otterrà così un tono affettivo di base connotato da benessere e pace (sembra essere l’opposto dell’ansia), una consapevole percezione degli organi interni ed una maggior chiarificazione interiore, infatti la pratica costante “consente una specie di interiorizzazione con un rientrare in se stessi, per cogliervi nello stato di passività […], il nostro mondo interiore.” (J.H. Schultz, 1966)

L’allenamento può essere svolto in tre differenti posizioni: da seduti, supini o nella posizione del cocchiere, altrimenti detta dello sgabello.

Gli effetti che si acquisiscono nel tempo sono i seguenti:

  • Un più profondo e rapido recupero di energie
  • L’autoinduzione della calma e conseguente rilassamento
  • L’autoregolazione delle funzioni corporee altrimenti involontarie (es. circolazione sanguigna)
  • Il miglioramento nelle prestazioni
  • La diminuzione della percezione del dolore (non si tratta però di repressione)
  • L’autodeterminazione attraverso formule di proponimenti in base alle necessità del singolo
  • Introspezione e autocontrollo, grazie alla visualizzazione interiore durante lo stato psichico concentrativo.

“Il Training Autogeno può dunque contribuire all’autosviluppo e all’autoconoscenza, senza alcuna suggestione esterna e senza un piano esterno secondo il quale l’uomo abbia da svilupparsi. Colui che diventa più calmo, e non certo più indifferente, o più povero di reazioni, può agire più liberamente; e colui che può acquisire questa calma, con l’aiuto di uno specialista (ma autogenicamente!) sarà più sicuro di sé e comunicherà meglio col suo ambiente. Una tale sicurezza interiore – auto conquistata – non solo rende liberi da disturbi, e attutisce reazioni esagerate sia nell’area psichica che fisica, ma rende libera la via verso il “vero” uomo in noi”.
(Wallnofer, 2008)

Bibliografia di riferimento
Brancaleone F., TBA: Terapia Bionomico Autogena. Fondamenti, principi, tecniche e applicazioni. Franco Angeli, 2010.

De Rivera y Revuelta J. L. G., Psicoterapia autogena – 1 parte Training Autogeno di Base, Edizioni libreria Cortina, Torino 2009

Schultz I.H., Il Training autogeno – metodo di distensione da concentrazione psichica, Collana Campi del Sapere, Feltrinelli, 2010

Schultz I.H., Quaderno di esercizi per il training autogeno, a cura di D. Langen, Campi del Sapere, Feltrinelli, 2010

Wallnofer H., Sani con il Training Autogeno e la psicoterapia autogena, Armando Editore, 2008

La balbuzie è come un iceberg

psicologia della balbuzie
Comprendere le profonde ripercussioni emotive della balbuzie non è cosa facile, Joseph Sheehan – eminente terapeuta del linguaggio (USA) e balbuziente egli stesso – tempo orsono coniò la metafora dell’iceberg, utilissima a chiarire a chi è fluente gli aspetti paralizzanti sottesi al disturbo.
Quante volte non riusciamo a capire fino in fondo e restano evidenti soltanto gli aspetti “che si vedono/sentono?”
Nell’iceberg esiste una parte emersa, che nella balbuzie si esprime con blocchi e ripetizioni nel parlato, ma la massa più grossa è quella sott’acqua, non visibile. Ansia, imbarazzo, frustrazione, senso di colpa, rabbia trattenuta (perchè a me?), evitamento, nervosismo, umiliazione, sensazione di non avere il controllo della propria vita … Solo per citarne alcuni. Molte persone che balbettano costruiscono nel tempo questi meccanismi emozionali semplicemente spinti da necessità di sopravvivenza.
Prima che si scoprissero le componenti biologiche nella genesi del disturbo si è ipotizzato che le cause fossero da imputarsi a fattori emozionali, mentre ne sono invece una diretta conseguenza. Lo stile del pensiero subisce una sorta di programmazione e si stabilizzano strategie mentali controproducenti a forza di subire esperienze negative nelle relazioni e nella quotidianità, diventando una sorta di circolo vizioso che si autoalimenta. La paura del blocco causa stress che a sua volta produce una scarica di adrenalina, che inevitabilmente va ad influire nella performance, peggiorando la situazione. Credendo che la balbuzie sia un disturbo di origine psicologica chi balbetta subisce una sorta di giudizio sociale, che non può che implicare sensi di colpa, peggiorando la stima di sé ed il proprio senso di essere nel mondo.
Spesso questi aspetti mentali ed emozionali diventano più devastanti e dolorosi del disturbo stesso.
Un piccolo esempio: la balbuzie è per sua natura variabile in modo non prevedibile, ho sentito genitori o insegnanti affermare : “Vedi, basta uno sforzo di volontà. Se vuoi puoi non balbettare.”
Ricordiamo anche che ogni iceberg è diverso dall’altro, unico. Come unico al mondo è ogni individuo e come unico sarà il modo in cui la sua balbuzie si esprimerà e le manifestazioni che nel tempo si assoceranno ad essa.

Balbuzie e ansia

La balbuzie si manifesta con involontari blocchi nell’emissione del suono e di sovente, man mano che l’età del balbuziente progredisce, si associano alla disfluenza conseguenze emozionali causate dall’impossibilità di comunicare nei vari contesti sociali.
Sebbene l’ansia non possa essere più considerata una causa, sappiamo invece come esacerbi il disturbo, innescando una sorta di spirale perversa da cui è difficile uscire. E non ci deve sorprendere, i sintomi della balbuzie possono davvero essere socialmente disabilitanti e frustranti, ed hanno insito in sé il potenziale di ostacolare una crescita personale e professionale appagante.
Parlare fluentemente e comunicare efficacemente sono competenze che racchiudono un alto valore aggiunto e possiedono una serie di ramificazioni in ogni campo dell’esistenza; non poterlo fare porta con sè una serie di svantaggi e diminuisce  il dispiegarsi delle opportunità.
Sentirsi ansiosi può essere considerata una reazione ragionevole poiché la balbuzie ha insita la possibilità di elicitare nell’Altro esiti come la presa in giro, l’imbarazzo, la frustrazione o ancor peggio, la pietà (Bloodstein, 1995;Menzies et al, 1999). Conseguentemente un bambino che balbetta entra nell’adolescenza e nell’età adulta con un rischio di sviluppare una chiusura di chiaro stampo reattivo e comportamenti di ritiro sociale nonché ansia in tutte quelle situazioni sociali che necessitano una comunicazione che coinvolga il giudizio dell’ Altro. Parlare in pubblico, leggere a voce alta, essere posti di fronte a persone autorevoli, innescano meccanismi appresi di somatizzazione nell’organo bersaglio, causando un peggioramento della fluenza e l’incrementarsi dei blocchi.
Sebbene l’ansia che tipicamente colora la personalità del balbuziente possa trovare un appagante miglioramento controllando direttamente il sintomo che la genera, durante il trattamento è auspicabile trovare il coraggio per affrontare anche tutte quelle situazioni problematiche che hanno segnato lo sviluppo armonico del carattere, coartando e ripiegando l’individuo che balbetta  su se stesso.
Il counseling del disturbo, in quanto relazione d’aiuto, associato a tecniche di modellamento della fluenza, raggiunge  proprio questo obiettivo: attraverso la dinamica che sorge tra i partecipanti del gruppo e gli stessi operatori aiuta a far riemergere il  piacere dimenticato della comunicazione, e sprona a portare la  parola ritrovata in ogni contesto sociale, lasciandosi alle spalle il silenzio e la vergogna.

 

Un video sulla balbuzie: intervista a una sedicenne

Un filmato di circa 8 minuti, prodotto dalla Vancouver Film School, in cui una sedicenne viene intervistata sulla balbuzie di cui soffre fin da bambina. Una terapeuta fa luce sulle cause, tuttora incerte, ed i genitori sottolineano quanta disinformazione ancora sia presente nella società. Il disturbo che la affligge è serio e con coraggio lancia un messaggio al mondo intero: invita i balbuzienti a non mollare mai, a cercare di continuare a lottare per i propri sogni e a non permettere a nessuno di sostenere che non sia possibile attuarli. Chiede inoltre, a coloro che non balbettano, più pazienza e comprensione per chi, suo malgrado, è un pò differente. Ascoltatela.

Balbuzie e ansia

balbuzie ansiaPer chiarire come ansia e balbuzie correlino tra loro è opportuno definire le differenze che esistono tra ansia di stato e ansia di tratto.
L’ansia-tratto può essere considerata una caratteristica stabile della personalità, un atteggiamento che riflette la modalità con cui un soggetto tende a percepire come minacciosi o pericolosi determinate situazioni ambientali, una sorta di predisposizione a provare sensazioni di ansia in circostanze a basso potere ansiogeno. Per i soggetti che presentano una elevata ansia-tratto quella ansiogena è la modalità di risposta abituale agli stimoli, mentre per gli altri è una modalità eccezionale.
L’ansia-stato invece può essere considerata come un’interruzione temporanea del continuum emozionale che si esprime attraverso una sensazione soggettiva di tensione, stress, apprensione, nervosismo, inquietudine, ed è associata ad attivazione del sistema nervoso autonomo. Alti livelli di ansia-stato risultano estremamente spiacevoli, dolorosi e disturbanti e stimolano il soggetto a mettere in atto dei meccanismi comportamentali di adattamento per evitare o ridurre queste sensazioni; questi meccanismi hanno successo se riescono ad allontanare lo stimolo ansiogeno o a valutarlo come meno minaccioso. Se questi meccanismi non riescono nel loro scopo, il soggetto può ricorrere a meccanismi di negazione o di repressione che sono, però, “antieconomici” poiché non aggrediscono alle radici la causa dell’ansia e possono diventare meccanismi maladattivi in quanto finiscono per aumentare l’ansia-tratto avviando (o perpetuando) una spirale perversa. Tenere distinti questi due tipi di ansia è fondamentale quando si voglia valutare le modificazione dell’ansia sotto trattamento poiché, solo valutando l’ansia-stato, si possono evidenziare i modi e i tempi delle variazioni del quadro generale, che difficilmente si potranno rilevare esplorando soltanto l’ansia-tratto.
Studi condotti negli ultimi otto anni affermano che :
• Generalmente chi balbetta è più ansioso, evita maggiormente le situazioni sociali e teme maggiormente il giudizio negativo rispetto ai normofluenti
• Chi balbetta è meno ansioso, evita meno le situazioni sociali e teme in misura minore il giudizio altrui rispetto a coloro che soffrono di fobia sociale
• I balbuzienti possiedono come paura specifica quella del parlato mentre non hanno sintomi fobici generalizzati
• In un certo grado l’ansia di tratto colora la personalità del balbuziente
• Il livello di gravità dell’ ansia di stato correla con il grado di severità della balbuzie
• L’ansia anticipatoria è un riflesso condizionato da precedenti esperienze di balbuzie
• I livelli di ansia sono minori rispetto ai pazienti affetti da fobia sociale e ristretti alla comunicazione

Sebbene un trattamento di successo sul sintomo balbuzie spesso diminuisca i livelli di ansia soggettivamente percepiti, qualora questi non scompaiano, o al contrario, configurino la possibilità di una ricaduta, sarà cura del counselor suggerire al cliente di avvalersi dell’ aiuto di uno psicologo o di uno psicoterapeuta.
Il lavoro di equipe e la costruzione di una rete di differenti professionalità in interazione fra loro può essere considerata la miglior via per affrontare una sindrome complessa come la balbuzie.

 

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